Rif. Genova-Rif. Remondino

Passo del Brocan

25 luglio


L
L'Argentera dal lago del Chiotas

Diario di viaggio

In questa stagione l'aurora al lago del Chiotas è indescrivibile. La zona è esposta al sole nascente, che per un quarto d'ora la infuoca col suo colore. Quando ho pensato al giro avevo già in mente di fotografarla, ma la sera ero talmente stanco da aver rinunciato all'idea di puntare la sveglia alle sei meno un quarto. Gli dei però sono benevoli e mi svegliano alle cinque e mezza. Dopo un po' di incertezza mi alzo cercando di non fare rumore per non svegliare gli stanchi compagni di stanza. Prendo la macchina fotografica e il cavalletto, mentre il portafiltri, il polarizzatore e il graduato grigio sono già in una tasca strategica dei pantaloni.
Alle sei e dieci l'Argentera comincia ad accendersi, poi è la volta dell'alto vallone di Brocan. Piazzo il filtro graduato sulla parte illuminata e aspetto a scattare fino a quando la luminosità delle montagne consente di far diventare il cielo azzurro e non biancastro, come sarebbe venuto all'inizio. Dopo il Brocan riprendo il rifugio con l'Argentera, ma dopo aver zoomato mi dimentico di rimettere a fuoco (ho un varifocale) e a casa scopro che è fuori fuoco. Peccato, ma per il web dovrebbe andare bene lo stesso. Quindi cerco di capire se è possibile riprendere l'Argentera che si riflette sul lago. Ieri pomeriggio non ero riuscito a scoprirlo perché la superficie era increspata dal vento, ma al mattino l'aria è più calma. Mi devo muovere lentamente con le ciabatte del rifugio sul terreno sassoso, memore di quella volta che mi feci prendere dall'entusiasmo e mi misi a correre inciampando e scorticandomi le mani. Il giorno dopo c'era da affrontare un percorso attrezzato con catene… Per fortuna lo trovo vicino e la scena entra giusta nella focale più grandangolare. Piazzo cavalletto, misuro la luminosità della montagna con lo spot, infine metto la linea del graduato al limite della zona illuminata e scatto. E vai! Anche questa è fatta.
Resta ancora la Rocca Barbis, una punta aguzza illuminata di rosso su un lato. Qui le cose sono più complicate, perché sulla destra il cielo è molto chiaro e rischio di bruciarlo. Provo a piazzare il graduato a coprire tutta la montagna, ma il contrasto tra la zona in ombra è troppo forte e l'ombra verrebbe nera. Il cervello è troppo impegnato ad esultare per lo scatto precedente e non mi suggerisce un'esposizione a forcella da unire in una doppia esposizione. Sto tornando indietro con le pive nel sacco, quando vedo un ciuffo d'erba che starebbe benissimo come primo piano. Decido per un ultimo tentativo disperato: ho letto mille volte che il polarizzatore non serve in albe e tramonti, ma provo lo stesso a scurire con esso il cielo. La sorte mi è propizia: il cielo a sinistra del picco si polarizza bene. Allora inclino il graduato in modo da coprire solo la porzione di cielo a destra della rocca, e in questo modo tutto il cielo si scurisce quanto basta rispetto al resto della scena da consentirmi di scattare. Anche questa è fatta. Mentre la luce si ingiallisce torno soddisfatto nel sacco lenzuolo a godermi un'altra ora di riposo.

Partiamo mentre la prima luce raggiunge il rifugio. Costeggiamo il lago Brocan ancora mezzo in ombra tra un nugolo di moscerini minuscoli. L'acqua è di un bel colore verde smeraldo. Sotto una cascata guadiamo un torrente mettendo alla prova l'impermeabilità degli scarponi. Risaliamo per prati fino al bivio per il colle di Brocan, ben segnalato con un cartello giallo su una roccia. Da qui la traccia è più esile, ma il percorso è ben marcato con tacche gialle ed ometti. Nel primo tratto sono un po' stinte, ma più sopra, dove individuare la traccia è più difficile, sono ben ripassate.
La traccia sale ripida senza dare tregua, e sarà così fino al colle. Costeggiando un ruscello, si sale per un tratto su una placca liscia, che col bagnato deve essere uno scivolo. Al culmine della placca si trova il nevaio da cui nasce il ruscello, appoggiato ad un salto roccioso di tre metri. Sulle rocce è indicato un bivio: sulla destra si va verso il bivacco del Baus, sulla sinistra verso la nostra meta. La scritta per il Brocan non è molto in alto ed è ancora mezza coperta dalla neve. Dopo un altro tratto di salita finiscono i prati e cominciano macereti e qualche breve tratto di pietraia. Voltandosi il lago Brocan è ormai piccolo, perché la ripidezza della salita ci ha fatto salire in fretta; lontano si intravedono anche il bacino artificiale della Piastra e la pianura. Sull'altro versante della valle si vede invece il sentiero che sale a zig-zag verso il colle della Rovina. Il terreno su cui sale sembra ancora più ostico del nostro, ma il percorso sembra ben tracciato.
Incontriamo il primo nevaio, che superiamo senza problemi. Su questo versante esposto a sud la neve è concentrata in bacini di accumulo, che sono quindi quasi in piano. Su una spalla ci prendiamo una pausa per rifiatare, perché se aspettiamo che ce la dia il tracciato stiamo freschi. Da qui un breve traverso in cui si salta tra il pietroni conduce ad un macereto e ad un prato isolato in mezzo ai detriti. Mentre cammino a testa bassa per la fatica, sento sopra di me smuovere del pietrisco. Alzo lo sguardo e vedo a pochi metri una marmotta eremita, che vive in questo isolato fazzoletto verde. Mentre ci fermiamo a guardarla se ne sta tranquilla, impegnata nei fatti suoi, senza preoccuparsi di scappare. Quando riprendiamo a salire, con tutta calma ci precede e si va a nascondere dietro un dosso erboso.
Altro macereto, due nevai e siamo al colle.

Di fronte ci si apre un panorama sconfinato, con linee di monti che si perdono all'orizzonte in basso e file di cumuli in cielo.
Su questo versante i nevai sono molto più estesi, ma la neve è sufficientemente molle da rendere facilmente superabili anche quelli ripidi che incontreremo sopra il Remondino. Ci raccontano invece due signori che incrociamo che loro al mattino hanno avuto delle difficoltà con la neve dura. Ci consigliano anche di fare una puntata al lago di Nasta. Dal colle scendiamo, attraversiamo un nevaio puntando verso verso destra e ritroviamo gli ometti e le tacche, che qui sono rosse. Dato che alcuni nevai sono grandi, può essere utile un binocolo per individuare i segni oltre le chiazze di neve e capire in quale direzione attraversarle. Per queste caratteristiche il tracciato va assolutamente evitato se la visibilità è scarsa o se le rocce sono scivolose perché bagnate. Scendiamo ancora alternando nevai a grossi massi fino al bivio per il colle Mercantour (scritte sulle rocce).
Qui si prende a destra e comincia un lungo traverso, su e giù per i pietroni, ben segnalato. Si procede in direzione di un ampio passaggio tra la catena del CAI sulla sinistra e l'imponente Cima di Nasta sulla destra. Poco prima di raggiungerlo, sulla destra si stacca una traccia segnalata da ometti (non abbiamo visto scritte né cartelli), che conduce al lago di Nasta. La posizione del lago, nella conca chiusa da Cima di Nasta, Baus e Bastione, è comunque ben evidente anche da sotto. Prima di raggiungerlo, si attraversa una zona di placconi in piano dove stanno riposando diversi giovani di stambecco. Non si scompongono al nostro passaggio, tranne uno a cui piombo da sopra senza vederlo e che scatta impaurito.
Il lago è quasi completamente gelato: spuntano solo poche pozze verdi e blu da uno strato di ghiaccio e neve ancora compatto. Il lago giace in una conca di montagne severe, con pareti frastagliate e pietraie con grandi massi alla base. Dato che è il punto più bello della tappa, ci fermiamo qui a pranzare. Oggi è domenica e non siamo i soli ad apprezzare il luogo. A un gruppo che se ne sta su un cocuzzolo sopra di noi, si avvicina uno stambecco a due metri, senza che loro, voltati, se ne accorgano.

Riprendiamo la via verso la traccia principale e ritroviamo gli stambecchi, che se ne stanno beatamente accovacciati a godersi il panorama e non si curano del nostro passaggio. Valicata la catena del CAI compare il rifugio, che si presenta minuscolo di fronte alle catene delle montagne e alle nuvole. Si scende decisi e troviamo due nevai piuttosto ripidi. Capiamo i problemi dei due signori di prima nell'affrontarli con la neve dura del mattino. Nel primo lo spessore della neve all'attacco è molto esile, forma una specie di tettoia, per cui non ci fidiamo. Seguendo gli ometti, troviamo una placca con un intaglio a V profondo 30-50 cm dai lati concavi. Lo seguiamo col metodo Culeman e al fondo troviamo un altro ometto. Che fosse proprio questa la via giusta? In ogni modo era più solida dei macereti e più stabile del nevaio. Qui il nevaio è più spesso e nonostante sia ripido lo percorriamo senza difficoltà grazie alla neve molle che frena. Dopo troviamo un macereto e successivamente, potendo scegliere, optiamo per un altro nevaio, che ha una fondo più frenante del pietrame. In breve siamo al rifugio.
Guardandosi indietro sembra impossibile essere passati di lì senza arrampicare, perché il pendio è ripido e scosceso. Intorno al rifugio troviamo molti gitanti domenicali e un nutrito branco di femmine di stambecco con i cuccioli. Tra queste ce n'è una con due cuccioli nati a giugno. I piccoli si allontanano dalla madre e tentano di seguire e di ciucciare il latte da un'altra femmina, che però non si presta molto. Vagano per un po' spersi restando nei pressi di questa femmina finché la madre belando non li va a prendere e li porta via con sé.

Al rifugio facciamo una doccia tonificante, forse anche troppo: nonostante la bella giornata l'acqua scaldata dai pannelli solari è finita e bisogna scegliere tra cubetti di ghiaccio del tutto freddo e un flusso gelido del caldo al massimo. Peraltro preferisco questo al sentire la puzza del generatore diesel quando arrivo al rifugio: per sentire la puzza e avere i confort bastava stare in pianura. Abbiamo anche la possibilità di lavare l'intimo, perché il sole e il vento ce li asciugheranno in breve. A cena scopriamo di essere gli unici italiani tra vari gruppetti di tedeschi e un austriaco. La cena è ottima. In questi rifugi del Parco delle Marittime mi sono sempre trovato bene: letti comodi e puliti, cibo buono, porzioni commisurate allo sforzo della camminata. Con due panini del Remondino, poi, si può fare tutto il trek senza mangiare altro. Ci avrò messo un quarto d'ora buono a mangiarne uno.
Il rifugio è esposto ad ovest, ma tramonto è un po' smorto perché il sole è nascosto dalle nuvole. In compenso il crepuscolo tra le nuvole è infuocato.

Galleria fotografica

Vallone di Brocan
Vallone di Brocan
Rifugio Genova-Figari
Rifugio Genova-Figari
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L'Argentera dal lago del Chiotas
Rocca Barbis
Rocca Barbis
Vallone di Brocan
Vallone di Brocan
Lago Brocan
Lago Brocan
Cascata
Cascata
Verso il colle di Brocan
Verso il colle di Brocan
Marmotta eremita
Marmotta eremita
Verso il colle di Brocan
Verso il colle di Brocan
Vista dal Colle di Brocan
Vista dal Colle di Brocan
Contemplazione 1
Contemplazione 1
Lago di Nasta
Lago di Nasta
A caccia di stambecchi
A caccia di stambecchi
Lago di nasta e cima di Nasta
Lago di nasta e cima di Nasta
Contemplazione 2
Contemplazione 2
Stambecco a riposo
Stambecco a riposo
In discesa verso il Remondino
In discesa verso il Remondino
Rifugio Remondino
Rifugio Remondino
Rifugio Remondino
Rifugio Remondino
Cima di Nasta al tramonto
Cima di Nasta al tramonto
Crepuscolo dal Remondino
Crepuscolo dal Remondino

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Sergio Chiappino

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