Cascia-Colle del Capitano

Roccaporena

26 maggio


Sentiero di santa Rita
Sentiero di santa Rita

Diario di viaggio

Quando esco dalla stanza per andare a colazione mi trovo un cincia che canta all'uscita del corridoio. Già la cena era stata ottima, con prodotti della cooperativa, ma stamattina si superano con la ricotta fresca. Peccato che dopo un po' questo latticino mi dia la nausea, perché altrimenti ne mangerei fino a scoppiare; ricordo ancora con nostalgia quella volta a Castelluccio in cui ne feci una scorpacciata.
Arrivo in una Cascia quasi deserta, dove fervono ancora i lavori per lo smontaggio e lo stoccaggio dei tendoni che pochi giorni fa sono stati montati per la festa annuale. Ieri sera li avevo visti trafficare con delle piattaforme aeree, mentre stamattina li stendono sotto i porticati e li lavano prima di arrotolarli. Purtroppo non riesco a visitare il monastero, perché all'ora fissata non si presenta nessuno all'ingresso. La visita successiva, dopo la messa, è troppo tardi.

Da Cascia a Roccaporena percorro il sentiero di Santa Rita, un magnifico percorso intagliato nella roccia nella verdissima valle del fiume Corno. La carrozzabile è poi poco distante in linea d'aria, sull'altro lato del fiume, ma qui sembra di essere in mezzo alla natura primordiale. Nonostante la grande quantità di pellegrini che trovo a Cascia e Roccaporena, nessuno deve passare a piedi di qui, perché alle 11 trovo ancora intatte tutte le ragnatele, che nella notte i ragni hanno tessuto in mezzo al sentiero. Cammino in mezzo a boschi misti, molto vari, con prevalenza di querce e carpini, ma anche con aceri e qualche faggio, segno che qui il clima deve essere di transizione e permette di prosperare a specie che solitamente abitano in ambienti diversi tra loro. Vedo molti fiori che dalle mie parti non ho mai incontrato. Il cielo è molto mosso, con nuvole che si inseguono e anche qualche innocua goccia di pioggia. Purtroppo da un certo punto in poi il sentiero non è agibile e tocca seguire l'asfalto.
Ben presto mi trovo ai piedi dello Scoglio Sacro, il monte su cui santa Rita andava a pregare. Dato che l'imbocco della salita si trova tra le prime case della frazione, decido di salire subito. Il cielo intanto si è chiuso e si è fatto cupo. Comincia a piovere in maniera decisa, ma il fitto bosco mi mantiene all'asciutto. In cima trovo riparo da cacqua e lampi sotto la tettoia che protegge la roccia su cui santa Rita si inginocchiava. Si tratta di una lastra di calcare molto erosa dall'acqua, nelle cui concavità la devozione popolare ha visto i segni degli arti della santa. Oltre che dalla tettoia, la lastra è protetta ai lati da una teca di vetro e progettano pure di ricoprirla. Questo perché la gente vi getta dentro di tutto: non solo le rose, ma persino mutande, calzini e ogni genere di rifiuti. Da pochi giorni hanno finito di ripulirla. Prima che venisse costruita la teca, qualcuno ne asportò anche un pezzo. L'addetto alla pulizia e alla manutenzione mi racconta questa cose con sconforto e rassegnazione. Intanto mi copro con uno strato, perché il temporale ha rinfrescato l'aria, mentre lo ascolto e aspetto che smetta di piovere. Intanto lui pranza sull'altare e vi versa per sbaglio della Coca-Cola. Impreca con gli occhi e commenta: «Tanto tocca sempre a me appulì».

Quando smette di piovere scendo. A Roccaporena, dove ci sono più esercizi commerciali che abitazioni, passo senza soffermarmi troppo. Salendo perdo il bivio della variante, cosicché mi trovo a percorrere un po' di asfalto, sotto uno squarcio di sole che picchia abbastanza, fino a raggiungere l'imbocco della pista sterrata in quota. Al secondo giorno, ho la conferma che la mia guida chiama sentieri le piste carrozzabili: ad esempio questa è definita mulattiera, ma ci incrocio un trattore. Il cielo intanto si copre e comincia a piovigginare. Proseguo nel bosco finché non inizia a piovere più intensamente. Decido allora di coprirmi. Al riparo della chioma di una grossa quercia, estraggo la giacca e il coprizaino dalla tasca inferiore e mi bardo.
Non piove un granché, ma il fango che si forma quasi istantaneamente non ha nulla da invidiare a quello terribile delle colline argillose delle mie parti. Devo procedere con cautela per non sprofondare o scivolare malamente. Meno male che ho i bastoncini. Quando smette di piovere, poco dopo, il sole si fa subito largo tra le nubi e, per qualche breve attimo, dura un momento magico in cui il terreno fuma e le foglie luccicano. Il cielo me lo ricordo quasi bianco di sole e nuvole. È poco più di un istante, poi della pioggia non restano i rivoli che scorrono sopra il fango. Lascio la pista e faccio un po' di zig-zag tra i sentieri, seguendo a ritroso la via del silenzio per Roccaporena.
C'è poi un bellissimo tratto invaso dalle ginestre fiorite; la pioggia le ha private del profumo ma resta il colore sgargiante. L'unico problema è che sono zuppe d'acqua, per cui dopo pochi passi mi trovo i pantaloni fradici: alla prossima pioggia dovrò ricordarmi di indossare anche i pantavento, che sul momento mi erano sembrati eccessivi per un breve acquazzone. L'unico aspetto positivo è per gli scarponi, che si liberano magicamente dal fango da cui erano avvolti.
Attraverso in saliscendi altri boschi, pieni di cartelli che regolano la raccolta tartufi. Negli appunti mi sono sempre dimenticato di annotare i canti degli uccelli, ma ricordo che i cinguettii dei passeri e i versi del cuculo erano compagni quasi costanti nei boschi, specie il mattino e dopo le piogge. Mi fermo a mangiare quando sono ormai in vista dell'agriturismo dove mi fermerò stasera. Oggi non ho trovato nessun posto confortevole dove mangiare, perché non mi andava di unirmi ai turisti motorizzati nei bar di Roccaporena. Lo faccio solo ora, quando sono le 15 passate. Appendo la giacca a un ramo per farla asciugare e mi accomodo su una panca panoramica.

All'agriturismo le oche mi soffiano un po' ma si allontanano, mentre i numerosi cani mi fanno le feste. Al coperto la proprietaria sta chiacchierando con le amiche. Mi accolgono con un caffè e una fetta di torta, senza che neanche lo chieda. Nel pomeriggio piove ancora, mentre in camera faccio la doccia, il bucato e appunto i ricordi. Quando smette, vado in sala da pranzo a scorrere una spessa monografia sulla biga che è stata trovata proprio qui sotto, quando un secolo fa fu costruita la fattoria. Questa cascina, infatti, è stata edificata sopra una tomba dell'Età del Ferro, in cui un nobile sabino si fece seppellire con una biga in legno e bronzo di pregiata fattura greca. L'originale è finito a New York per vie traverse, ma a Monteleone se ne può ammirare una copia fedele.
La cena sarà una gran cena. Non so se sarà la migliore del viaggio, perché ho mangiato bene in molti posti, ma senz'altro la più esotica. Qui sono contadini, pastori e cacciatori-raccoglitori, per cui mi servono a piene mani i prodotti della loro terra: lo scorsone, il tartufo locale, compare in ben tre portate; poi il pane fatto con la farina di raveglia, un pisello selvatico; le noie, budella di maiale con i sapori (ripugnanti!); il salame di fegato, il pecorino con la marmellata di peperoni e quella di liquirizia, per citare i più strani che mi sono appuntato sul cellulare. Domani sera a Leonessa, i pinerolesi che mi raggiungeranno dopo aver unito due tappe, ascolteranno con invidia questi racconti, ma mi guarderanno con schifio perché non ho accompagnato tutto ciò con il vino (l'ho solo assaggiato ed era buonissimo). In quella occasione cenerò sotto un gigantesco dipinto delle nozze di Caana. Verso la fine della cena arriva a casa il figlio dei proprietari, un tipo selvatico come i cinghiali che caccia.

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Cascia
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Sentiero di santa Rita
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Sacro Scoglio
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La rivista di santa Rita
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Colle del Capitano
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Sergio Chiappino

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