Acqui Terme-Moretti

Alto Monferrato

24 aprile


La Bollente
La Bollente

Diario di viaggio

Il viaggio non può che partire dalla Bollente, la sorgente termale a 75°C che sgorga nel centro di Acqui Terme. Nella fresca mattina, l'acqua calda fuma senza però emettere odori; riesco a toccarla solo per qualche secondo prima di cominciare a sentire dolore. Un vecchio ne sta lentamente sorseggiando un bicchiere. Non ho il coraggio di chiedergli che proprietà avrebbe, secondo lui. Nella cultura tradizionale, i prodotti tipici o insoliti di una terra erano spesso rivestiti di qualità taumaturgiche: ad esempio, i miei nonni veneti davano il vino ai miei zii quando erano malati e la stessa sorte è capitata ad alcuni miei cugini.
Nella piazza stanno convogliando i primi motociclisti di un raduno; non resisto a fotografare una grossa Harley a tre ruote, guidata da un centauro di stazza appropriata, che si ferma giusto tra me e la cupola della Bollente. Nella prima ora di cammino il loro rombo allieterà le mie orecchie, ma per fortuna non le mie narici, perché prenderanno altre strade. Dalle notizie che ho raccolto, se fossi partito il giorno prima, come avevo inizialmente programmato, li avrei trovati in massa a Tiglieto.

Vado verso corso Bagni, pedonalizzato per un mercatino delle pulci. Vista l'ora da caffè al bar, quelli interessati agli acquisti sono scomparsi da tempo, sostituiti da pensionati che curiosano tra le bancarelle. Varcata la Bormida insieme alle auto, trovo l'attacco del percorso segnalato, che mi porta tra gli alberghi per i turisti termali. Lasciata la strada, imbocco un sentiero che sale subito ripido in un bosco umido e fitto. Mi scaldo molto in fretta, tanto che al primo pianoro dove posso posare lo zaino sono già in maglietta. Passando tra gli alberi, sulla mia faccia si appiccicano alcune ragnatele tessute di traverso sul sentiero, una sensazione che non provavo dall'autunno scorso. Oltre che dalle sopracitate moto, il paesaggio sonoro è popolato dal canto del primo dei tanti cuculi che sentirò oggi e nei prossimi giorni. Quello visivo è invece colorato dalle prime orchidee.
Sento dei passi alle mie spalle; voltandomi noto due persone di corsa raggiungermi. Uno di loro, incuriosito dal mio grosso zaino, mi chiede delucidazioni. Saputi i miei progetti, mi dice che il CAI organizza un trek simile al mio, ma in metà tempo. Lui vorrebbe addirittura percorrerlo in giornata, quasi tutto di corsa. Tra i luoghi che vedrò oggi, mi raccomanda il mulino che fu di Gino Paoli, prima di Toleto. Nei pressi dei ripetitori del Monte Stregone, il sentiero sbocca su una stradina di crinale assai panoramica: lungo la cerchia lontana delle Alpi innevate riconosco il familiare profilo del Rocciamelone. Non riesco invece a individuare i più vicini Bric Puschera e la torre di Vengore. Intorno a me ci sono casette, prati e vigneti.
Su sentiero tra ornielli fioriti salgo al Monte Marino. Sono partito da poco, ma la tentazione di fare già una pausa in questo punto panoramico è forte: c'è pure una comoda pietra piatta su cui accomodarsi. Tuttavia il mio spirito CAI, mai sufficientemente represso, mi fa sentire colpevole per una simile fiacca: me ne rammaricherò. Oltrepasso un castello trasformato in azienda vitivinicola, dove un signore, prima presenza umana di tutte le case superate finora, sta lavorando nel garage e non mi nota. Non che faccia un gran rumore, a parte il ritmico ticchettio dei bastoncini sul terreno. Un tratto di sentiero è bordeggiato da biancospini fioriti dall'odore molto delicato. C'è anche un primo timido fiore di caprifoglio, ancora in formazione.

La pausa la faccio poi presso un noce, poco sopra una casa più animata: si sentono le voci dei bambini che giocano nel cortile e si vede un trattore lavorare nella vigna. Il tragitto di oggi non segue quasi per nulla vie storiche di commercio, probabilmente perché qui le carrozzabili hanno ricalcato i loro percorsi di crinale, anziché andare nel fondovalle. Tuttavia una sorta di via c'è lo stesso: infatti su questo crinale passa nascosto sottoterra un oleodotto, che porta il crudo da Quiliano, vicino a Savona, fino alle raffinerie di Trecate, nel novarese.
Costeggiati dei vigneti, entro nel bosco su sentiero e sbuco su una stradina asfaltata, sempre nel bosco. Ai suoi margini vedo un giovane capriolo maschio che non fugge alla mia presenza; speriamo che impari a farlo prima che si apra la stagione di caccia. Supero un auto lasciata in mezzo alla strada, presso cui i suoi passeggeri, che hanno l'aria di non aver mai camminato un granché, stanno elaborando un piano per abbuffarsi. Un nuovo taglio su sentiero mi regala un piacevole tratto tra i canti degli uccelli, che termina sopra un piccolo calanco. Arrivo così a Valle Croce, dove due cagnetti mi vengono incontro abbaiando furiosamente, incuranti dei richiami del padrone.
Qui il percorso devia e scende nella valle boscosa, dopo aver attraversato alcuni prati. Arrivato sul fondo, dopo un guado su un rio che scorre accanto a una parete di terra, mi faccio ingannare da un segnale su un albero e risalgo verso un vecchio sentiero abbastanza tracciato. Dopo averlo brevemente seguito, mi accorgo che non ci sono più segni ed è invaso dalla vegetazione. Ritorno allora indietro e individuo una tacca che mi porta nella direzione corretta, su una dorsale diversa. Questa traccia non è però un percorso storico, ma probabilmente solo un raccordo che porta fino ad un muro a secco che scende dritto per il pendio; da qui parte un sentiero più tracciato. La guida se la cava con un accenno alla risalita, ma devo penare non poco tra il verde sfavillante delle querce illuminate dal sole. Va giusto bene che la temperatura è abbastanza fresca. La musicaccia di un'autoradio mi annuncia che la civiltà è vicina. Faccio ancora in tempo a disturbare un gatto dal pelo lungo e curato, sceso nel bosco a caccia di topi o talpe, e sbuco sulla strada ai margini di Ciglione. Lo attraverso e vado a fare uno spuntino accanto a una cappella, nei pressi della proloco, che è chiusa. Peccato: speravo di rabboccare la borraccia, che è quasi vuota, e magari di rimediare un caffè.

Da Ciglione scendo nuovamente nella valle. Ad un certo punto trovo un bivio non presente sulla descrizione: da una parte si segue il sentiero descritto, dall'altra si fa un percorso facile. Dopo aver seguito il primo non posso che consigliare il secondo: non per qualche difficoltà particolare, ma perché si risale il ripido versante boscato come capre, senza sentiero. Invece mi pare che dall'altra parte si segua una pista erbosa, che forse era interrotta al momento della prima tracciatura. Una volta ricongiuntomi con essa, incrocio tre ciclisti che scendono. In cima attraverso su asfalto un gruppo di case, dove saluto una signora e la figlia adolescente. Per un sentiero scendo di nuovo verso il fondovalle. Sento degli strani versi strazianti, che interpreto come ragli quando sento il caratteristico odore degli escrementi di equino. Superato un ruscello dal letto molto incavato ma adesso in secca, arrivo a Case Valle, molto rurali.
Qui mi aspetta il guado del rio Tre Aberghi, che naturalmente è quasi in secca per la lunga siccità autunnale e invernale. In caso di piena, può presentare qualche difficoltà, perché non ci sono pietre su cui stare sollevati rispetto al letto, ma bisogna probabilmente mettere i piedi in acqua (le ghette possono tornare utili), cercando i punti sopraelevati del fondo roccioso. Segue una sterrata in una zona con lavori di disboscamento, a cui succede una zona più aperta da cui si vedono le verdi colline circostanti. La strada diventa mulattiera dopo alcune case nei prati. Risalgo dolcemente la valle, attraversando un castagneto dove si vedono i miseri resti di alcuni aberghi, gli essiccatoi per castagne. La produzione deve essere cessata molto tempo addietro, perché i castagni sono ormai tutti cedui, mentre non ve ne è nessuno da frutto. In genere si sta a una certa distanza dal torrente, senza vederlo, ma c'è un punto molto bello in cui lo si domina dall'alto di una parete contro cui scorre.
Guadato nuovamente il rio, la mulattiera sale (non so perché ma brevemente la sia abbandona per un taglio insensato) e diventa nuovamente stradina, passando accanto al famoso mulino citato in precedenza. La ruota è stata conservata e sono stati rifatti in metallo i canali che vi portavano l'acqua. In breve si è al cimitero di Toleto, dove la stradina asfaltata porta alla proloco. Mi accomodo a fare merenda con le gambe sotto a un tavolo accanto alla fontanella, dove posso riempire la borraccia ormai secca. All'ombra un pile è necessario.

Sulla piazza della chiesa, dei bimbi sorvegliati dalle mamme giocano a palla, mentre degli adulti stanno scaricando materiale edile da un furgone. C'è ancora un tratto su sentiero, ma da qui a Moretti mi aspetta soprattutto asfalto. Per fortuna la maggior parte è su una stradina di crinale nel bosco, dove non passa nessuno. Ad Abbassi seguo brevemente la SP210, poi imbocco una pista sterrata che sale sulla collina verso il Bric dei Gorrei e domina Piancastagna. Incontro un papà con la figlia in bici e un motociclista. Lascio poi il sentiero segnalato per una mulattiera individuata sulla carta che mi porta al sacrario. Di qui, accorciati i bastoncini, seguo la SP210 fino a Moretti.
Prendo un caffè al bar e vado in albergo, di cui stasera sono l'unico cliente. Bar, albergo, frazione e proprietario hanno tutti lo stesso nome. Il riscaldamento è acceso: gran notizia, così posso lavare e asciugare tutto, anche se nel frattempo il cielo si è rannuvolato. Dopo cena faccio due passi lungo la provinciale, nel fresco della sera. I residenti si radunano nel bar. Vado a letto presto anche se la colazione è alle 8.

Galleria fotografica

La Bollente
La Bollente
Piazza della Bollente
Piazza della Bollente
Vigneto
Vigneto
Vigneto
Vigneto
Ciglione
Ciglione
Ciglione
Ciglione
Rio dei Tre Aberghi
Rio dei Tre Aberghi
Toleto
Toleto
Piancastagna
Piancastagna

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Sergio Chiappino

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