Dervio-Dorio

Corenno Plinio

30 settembre


Dorio
Dorio

Diario di viaggio

Tappa accorciata rispetto al percorso ufficiale, per poter tornare a casa entro sera. Con i nostri ritmi, avremmo dovuto pernottare ancora una notte a Colico, per poterla completare. Probabilmente abbiamo rinunciato alla parte migliore.

Torniamo indietro verso il ponte sul torrente Varrone, prima di attraversarlo pieghiamo a sinistra tra la parte vecchia di Dervio. A differenza che nei paesi precedenti, qui la zona medievale non si affaccia sul lago, penso perché nel corso dei secoli il delta del Varrone si è ampliato e ha lasciato a secco il nucleo originario. La piccola zona vecchia è formata da case intonacate di grigio chiaro, addossate le une alle altre, separate da stretti e tortuosi vicoli: una configurazione tipicamente medievale, quando non c'era alcun tipo di piano regolatore e le costruzioni si sviluppavano secondo una struttura anomica, più simili ai frattali alla Mandelbrot di un fiocco di neve che alle geometrie euclidee di epoche più regolamentate.
Dalla strada che costeggia l'agglomerato, imbocchiamo la scalinata diretta al castello di Orezia. Ci supera un signore accompagnato dal figlio piccolo; porta a spalle un grande sacco trasparente pieno dei festoni rossi, che abbiamo visto appesi agli edifici del paese. Gli chiediamo se ci sia la festa patronale e lui ci risponde che sarà la settimana prossima, mentre oggi c'è l'assalto al castello, una tradizione interrottasi nel 1988 e ripresa quest'anno. Sarà anche possibile salire sulla torre, recentemente resa usufruibile ai turisti, e visitare l'attigua chiesetta affrescata, anche con visite guidate da un esperto di storia locale. Quando arriviamo lì, alcune persone stanno montando i banchetti e i fondali della manifestazione. Prima avevamo già visto dei bimbi divertirsi con giochi di plastica in sintonia con i prossimi festeggiamenti. Anche il nucleo attorno al castello, ancora più piccolo del centro più in basso, è molto gradevole e curato.
Scendiamo verso lo svincolo della superstrada, al cui sbocco una famiglia con due bimbi in età scolare sta sistemando dei festoni ai cartelli stradali. Il luogo scelto è l'equivalente contemporaneo della porta rivolta verso Roma del castrum, perché quasi nessuno salirà a piedi per la via medievale percorsa da noi: sono previste navette per chi è già in paese. In effetti il signore con il sacco si guardava bene dall'appendere festoni per quella via. Tento di scattare una foto alla famigliola, ma la mamma è di spalle e chinata, con il sedere esposto in bella vista, per cui lascio perdere. Proseguiamo lungo una stradina, che si affaccia su molte villette. Ci sono anche un prato incolto, con un avviso di costruzione datato cinque anni fa, e un defilato scheletro di cemento. È poi la volta di un gruppo di villette recenti con giardini curati, affacciate sulla superstrada.
Il paesaggio migliora bruscamente non appena la statale sprofonda in una galleria, perché attraversiamo un nucleo di edifici rurali in pietra dove aveva sede il monastero degli Umiliati, un ordine medievale, che perseguiva ideali di povertà evangelica. Sul lato a monte ci sono due grandi ailanti, mentre a valle corre la familiare linea elettrica. Attraversiamo poi degli orti, dove un vecchio sta cogliendo le ultime pere della stagione con un attrezzo simile a quello usato da mia nonna per i fichi; quello era sommariamente autocostruito con un palo di legno grezzo e lamiera inchiodata, questo invece in plastica rossa è quasi di design.

Siamo ormai in vista di Corenno Plinio, un grazioso borgo medievale molto apprezzato dai gatti, che abbondano nei suoi stretti e ripidi vicoli di pietra. Una signora mi mostra con orgoglio un sosia del mio. Il paese ha una torre medievale merlata e una chiesa con tre arche funerarie sulla facciata e degli affreschi all'interno. Riconosco un'adorazione dei Magi, una santa Apollonia a cui stanno cavando i denti e dei personaggi con dei rotoli, che dall'iconografia mi sembrano i profeti biblici, ma secondo lo stampato conservato all'ingresso della chiesa sono gli apostoli. Scendiamo alla darsena per le erte scale, tra alcuni turisti, e ci fermiamo a contemplare il lago. L'atmosfera di oggi è decisamente meno aprica dei giorni precedenti, anche se non meno calda e più afosa: le nuvole hanno avvolto le montagne e l'aria umida e spessa offusca i dettagli più lontani.
Due cigni arrivano dal lago per fare un giro nel porticciolo, forse pregustando il pane dei turisti domenicali, e scatenano gli istinti da guerra di un fotografo, con il superzoom proteso a mo' di cannone e la tendina dal rumore di mitraglia. Anche io non avevo resistito la sera a Lierna. «Un lago senza cigni è come una notte senza luna», scriveva un giornalista sul Corriere della Sera nel 1934, con una felice espressione dall'ermeneutica ambigua. Proprio in quei decenni tra le due guerre furono massicciamente introdotti, specie nel lago di Lugano, e persino fotoscioppati nelle cartoline quando mancavano; migrarono poi di lì anche negli altri laghi insubrici. Come i giardini esotici, sono perciò uno degli elementi di natura addomesticata e piegata ai bisogni dell'uomo (estetici e ricreativi, in questo caso), che rendono i laghi tanto attraenti, per chi vuole fuggire dalle industrie ma odia la natura spontanea. Furono scelti per il carattere docile, il portamento nobile e il lungo collo, che li rendeva idonei a ingentilire il lago; non bisogna poi dimenticare il forte ruolo simbolico e sensuale che hanno sempre rivestito nella letteratura occidentale, dal mito di Zeus e Leda, fino al Faust di Goethe, passando per la leggenda del canto in punto di morte. Le oche vanno bene per gli agriturismi caserecci.

Oltre Corenno la mulattiera corre poco a monte della provinciale e della linea ad alta tensione, da cui ci separa una barriera di villette, in uno dei tratti meno entusiasmanti del viaggio. Su delle villette a schiera appena sfornate, le esche per attirare compratori sono il box e la piscina. Testimoni oculari mi avevano riferito che gli inglesi a Minorca si tenevano ben lontani dalla spiaggia, preferendole la piscina dell'hotel.
Finalmente ci immergiamo nel bosco, passiamo un torrente con resti di mulini, di cui ho perso ogni ricordo a parte l'annotazione sugli appunti. Giungiamo alla chiesetta di san Giorgio, dalle cui finestre intravediamo qualche affresco sulle pareti laterali. Già scorgiamo il bel borgo di Mandonico. Prima di scendere a Dorio, termine del nostro viaggio, andiamo a gettare lo sguardo su questa porzione di territorio finalmente conservata rurale. Ci sono un orto e un recinto con le pecore; le case in pietra sono quasi tutte tenute, certamente come seconde case, anche se adesso non c'è nessuna persona in giro, nonostante sia domenica. Più avanti c'è un locale dalla facciata adorna di corna, che dev'essere il centro di aggregazione dei proprietari. Andiamo ad affacciarci sul sentiero che prosegue nel castagneto verso Posallo: sembra molto curato. Sale intanto da Dorio un gruppo di un CAI bergamasco e prosegue verso nord, evitando il borgo. Torniamo alla chiesa e scendiamo a Dorio per l'ampio tracciato erboso, molto panoramico, che il CAI ha incomprensibilmente evitato.
La giovane cameriera del ristorante, dai tratti delicati e arcigni, è chiaramente una Gestapo scampata alle vendette postbelliche. Con ordini irremovibili tenta ripetutamente di incanalare le nostre ordinazioni creative nelle sue maglie di titanio e si addolcisce solo a fine pasto, ai nostri apprezzamenti per il lavarello grigliato e il dolce alla cannella. Il lavarello, come il già citato cigno, è un animale introdotto nel lago dall'uomo, durante una stagione di febbrile piscioltura a metà Ottocento, e oggi si è naturalizzato. Dopo pranzo andiamo sul curato arenile, tra qualche barchetta a vela ormeggiata presso il pontile e alcuni windsurfer in calata. Non resisto alla tentazione di fotografare dei germani accucciati a riva, accanto alle piccole onde spumose del lago increspato. Ripeto l'operazione con le fronde di un salice. «Potremmo accumulare senza nessuno sforzo versi nei quali giovani ondine giocano, senza fine, con immagine assai note», scrive sprezzante Bachelard nella sua disamina scientifica e onirica delle immagini poetiche dell'acqua. Per le foto vale lo stesso. Tuttavia per me restare a guardare l'incessante successione è davvero ipnotico; lo è anche farsi cullare da esse sopra una barca alla deriva o un pontile con la brezza in faccia, come stanno facendo due innamorati. In fondo anche Ansel Adams ha fatto una serie sulle onde.
Percorriamo fino in fondo la spiaggia, più ampia del solito per la secca del lago, e saliamo quindi alla stazione in attesa del treno per casa. Su questa linea non ci sono biglietterie, neanche elettroniche, per cui come molti altri dobbiamo richiedere il biglietto a bordo. La nostra meta fuori regione causa non pochi impicci ai due capotreno, che si passano la conduzione e l'incombenza a Varenna. A Mandello dai finestrini vediamo sulla strada le Harley reduci dall'abbuffata di Ortanella, proprio mentre si apprestano a una sfilata in faccia al nemico.

Galleria fotografica

Dervio
Dervio
Mulattiera per il castello di Orezia
Mulattiera per il castello di Orezia
Assalto al castello
Assalto al castello
Monastero
Monastero
Corenno Plinio
Corenno Plinio
Corenno Plinio
Corenno Plinio
Corenno Plinio
Corenno Plinio
Corenno Plinio
Corenno Plinio
Corenno Plinio
Corenno Plinio


Mandonico
Mandonico
Mandonico
Mandonico
Dorio
Dorio
Spiaggia di Dorio
Spiaggia di Dorio
Spiaggia di Dorio
Spiaggia di Dorio
Spiaggia di Dorio
Spiaggia di Dorio

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Sergio Chiappino

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