Santo Stefano di Sessanio-Fontecchio

Altopiano di Navelli

29 maggio


Castelvecchio Calvisio
Castelvecchio Calvisio

Diario di viaggio

La tappa dei borghi. Infatti oggi attraversiamo molti paesi medievali, ciascuno con le proprie peculiarità. Persino troppi: data la lunghezza della tappa, girarli tutti ci farà arrivare nella calda luce del tramonto a Fontecchio, che visiteremo solo il giorno dopo. A ciò vanno aggiunti i magnifici affreschi delle chiese abbaziali di Bominaco.

È piovuto per buona parte parte della notte. Piove ancora quando ci svegliamo, ma per fortuna cessa prima della partenza. Tuttavia il cielo resta coperto. Lasciare Santo Stefano di Sessanio a piedi non è facile. Una recente mappa dei sentieri della zona, affissa ai margini del paese, mostra una mulattiera che è completamente scomparsa, come del resto il Sentiero Italia: entrambi sono stati mangiati dalla vegetazione e non ne è rimasto che un lieve solco appena visibile su Google Maps. Chi ha progettato la mappa non si è minimamente curato di verificare se i vecchi tracciati dell'era pedonale esistono anche sul terreno. Scendiamo così per un tratto sulla strada che porta al Piano Viano. Alcuni cartelli la segnalano come ippovia. Nei prossimi giorni troveremo parecchi di questi segnali, ma di cavalieri giusto un gruppetto il sabato sulla pista dell'acquedotto di Ovindoli, anche perché non abbiamo trovato luoghi attrezzati per il loro pernottamento.
Per non percorrere tutta la lunghissima strada, tagliamo poi giù dritto per lo scavo dell'acquedotto. Brecciolino al limite della percorribilità, nei passaggi più ripidi. Giungiamo così alla strada che attraversa il Piano Viano. Anche questa conca è coltivata e protetta da una recinzione, stavolta elettrificata. La pioggia notturna ha trasformato la strada in una successione di laghetti, che dobbiamo aggirare camminando sulle fradicie sponde erbose. L'ippovia prosegue in una zona rimboschita con pini neri in epoca fascista. L'accompagnatore ci racconta che Mussolini aveva promosso questi interventi perché sperava di raffreddare il clima e di temprare così gli italiani. Tra le brume, intanto, compare sotto di noi un altro altopiano coltivato.
Arriviamo così a Castelvecchio Calvisio. La parte medievale presenta un'insolita pianta regolare a scacchiera, anziché il solito intrico di vicoli contorti. Questo perché il paese fu ricostruito da zero dopo le distruzioni portate da Fortebraccio da Montone, un cavaliere di ventura che nel Quattrocento mosse guerra a L'Aquila e fece vari danni in zona, prima di morire durante l'assedio della città. Gli sparuti abitanti vivono tutti nelle case moderne esterne al nucleo storico. Peraltro il paese non ha né negozi né centri di aggregazione. Il centro è invece disabitato e quasi del tutto inagibile, dopo i danni causati dal terremoto. La sua caratteristica più appariscente sono le scalette in pietra, che dal piano stradale salgono alle porte delle abitazioni, poste a metà altezza.

Per un sentierino nell'erba alta andiamo su una mulattiera che attraversa il borgo diroccato di San Martino, quindi siamo a Carapelle Calvisio, altro tipico borgo medievale. Qui c'è un negozio unico che vende pressoché tutto ciò che può servire, dalla frutta alle sigarette, passando per il nastro adesivo. E stampa pure le foto digitali. Poco fuori dal paese un tipo originale si è costruito una faraonica villa-chalet, con pietra locale uno stile vagamente alpino. La villa è in costante espansione: anno dopo anno viene aggiunto qualche elemento.
Da Carapelle imbocchiamo un'interminabile pista nel rimboschimento. Gli unici punti che spezzano la monotonia sono un prato con un gruppo di cinghiali e una profonda pozza d'acqua, che ci costringe a un breve ravanamento nella boscaglia per evitarla. Sembra non finire mai anche perché si mette a piovere, costringendoci pure a una deviazione: anziché scendere a una chiesa per un prato troppo scivoloso col bagnato, proseguiamo sulla pista fino a San Pio delle Camere.
A una nonna che esce dall'asilo con il nipotino, chiediamo se c'è un bar. «Avete l'automobile?» «No» «Dove dovete andare?» «A Tussio» «Me dispiace!». Il bar in effetti c'è ed è anche ben fornito, per cui ci lanciamo nel saccheggio fosennato delle focacce e dei panini. Nella sfortuna abbiamo rimediato qualcosa di caldo e un po' di vino, anziché il solito triste panino al freddo.

La deviazione forzata comporta un po' di asfalto nella bella piana di Navelli, famosa per lo zafferano. Nei campi di grano, oltre a i papaveri crescono pure i delicati fiordalisi. Da Tussio una pista nel bosco ci porta a Bominaco. La prima cosa che vediamo è il castello, che però è semi-finto, come Stonehenge, nel senso che era crollato ed è stato ricostruito col materiale rinvenuto in loco. Ma il monumento più interessante del paese è l'oratorio di San Pellegrino, una chiesa legata a un monastero benedettino ora scomparso, che ha dei bellissimi affreschi dipinti dai monaci medievali. In particolare va segnalato un calendario illustrato con le attività agricole di ciascun mese. Sfortuna vuole che ci arriviamo mentre è in corso la visita di un gruppo di eruditissimi ticinesi. Al nostro arrivo, la loro guida sta terminando una un'introduzione generale delle opere, per poi lanciarsi in una minuziosa analisi di ciascun dipinto. Ci tocca perciò vederli un po' di straforo, senza troppo disturbare la loro lezione.
Anche così se ne va quasi un'ora e abbiamo ancora un bel po' di strada da fare. Da qui a Fontecchio c'è un sentiero segnalato dal CAI. Significa che si parte su una pista nel bosco con qualche tacca, che poi però sfocia in svariati prati dove i segnali scompaiono. Dal fondo di uno di questi parte il sentiero, nella totale assenza di bolli. Se uno viene qui senza conoscere il posto, deve setacciare tutti i prati per trovare l'imbocco. «Infatti», conferma l'accompagnatore, a cui l'esperienza è toccata. Comunque che qui non cammini nessuno l'avevamo capito anche in paese, dove ci avevano consigliato di percorrere la strada asfaltata, assai più lunga e del tutto insensata.
Mentre una luce ormai tramontina bacia il castello, ci infiliamo nel fitto bosco, tra querce e ginepri che si allargano sul sentiero. Scolliniamo accanto a un vasto prato, con vista sulla parete del Sirente sormontata dai cumuli. Ai suoi margini ci fotografiamo tra alcune rotoballe di fieno lasciate a marcire. Costeggiamo il prato e prendiamo un sentiero che scende. Qui il bosco si alterna con l'ambiente più arido delle rupi calcaree, vivacemente colorate di fioriture.
Finalmente arriviamo in vista di una piana con due paesi, che però non sono il nostro Fontecchio, ma due frazioni alte. Quella che attraversiamo si chiama San Pio. Ci portiamo ai margini della piana, dove sorge un ex convento francescano trasformato in struttura ricettiva, che ammiriamo baciato da una luce arancione. Meglio non chiedersi che ora abbiamo dovuto fare per goderci questo spettacolo. A parte la lunghezza della tappa, oggi valeva la pena concedersi qualche pausa lunga.
Poco sotto il convento siamo tra le prime case di Fontecchio, dove un'auto corre verso di noi a tutta velocità. Il finale, come tradizione vuole, è in salita tra i ripidi vicoli del ben conservato borgo medievale. Stanotte dormiamo nella casa baronale trasformata in B&B.

Galleria fotografica

Piano Viano
Piano Viano
Castelvecchio Calvisio
Castelvecchio Calvisio
San Martino
San Martino
Carapelle
Carapelle

San Pio delle Camere
San Pio delle Camere
Piana di Navelli
Piana di Navelli
Castello di Bominaco
Castello di Bominaco

San Pio di Fontecchio
San Pio di Fontecchio
San Pio di Fontecchio
San Pio di Fontecchio
Il Monastero
Il Monastero

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Sergio Chiappino

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