La nebbia è bel tempo


«Quassù, quando si cammina da soli in mezzo alla nebbia o sotto la pioggia, si ha la sensazione di fondersi con gli elementi della natura»
Anacleto Verrecchia, Diario del Gran Paradiso,Torino 1997
Una giornata uggiosa
Una giornata uggiosa

Quando, durante una gita, si finisce in mezzo alle nuvole (o ne vengono avvolte le montagne circostanti), gli escursionisti sono molto seccati, perché «non si vede niente». Credo che il pensiero comune sia che si è fatta tanta fatica per salire e ora si vuole godere dei panorami più ampi e vedere ogni minimo dettaglio anche a decine di chilometri. Si è pagato il prezzo del sudore e si vuole sfruttare il punto di vista privilegiato delle altitudini, altrimenti ci si sente delusi e traditi dalla montagna. L'emozione di riconoscere la piramide del Monviso dai luoghi più remoti è il premio per l'impegno profuso. Durante la gita sociale al Poggio Grande, l'attraversamento della nebbia che avvolgeva la cima era accompagnato da canti luttuosi. Il che è perfettamente comprensibile. Marciare nella nebbia significa farsi impregnare di umidità: ricordo una volta in cui dovetti indossare la giacca impermeabile anche se non pioveva, perché altrimenti avrei dovuto strizzare la camicia a fine escursione. Spesso si suda in salita, perché l'umidità ostacola la traspirazione, ma si congela in vetta, perché mancando il sole fa freddo. L'unico conforto è la stufa del rifugio, dove appenderemo le magliette fradice e, se possibile, anche le ossa. Alla nebbia sono associati stereotipi negativi: grigiore padano, novembre, il mese dei morti. Ed emozioni negative, come la desolazione. Tuttavia questa non è la storia completa. A volte la nebbia è un attrattiva turistica, la vengono a fotografare perfino i giapponesi. Chi ha visto l'altopiano di Castelluccio immerso nella nebbia non se lo dimentica. Un'immensa conca che, nelle mattine umide e fresche, diventa un lago bianco da cui spunta il paese sulla cima di una collinetta, come un'isola in un oceano placido.
Perciò osservando la nebbia solo con occhi torvi in realtà li si chiudono e si limita il proprio sguardo più di quanto faccia la coltre grigia. Se vi è capitato di vedere l'umidità rappresa su una ragnatela, o i colori autunnali emergere dal grigio, magari avete già pensato che a volte la nebbia aggiunge, non toglie. Con questi pensieri sparsi vorrei offrire qualche spunto a chi si annoia quando lo sguardo non si può perdere lontano. Non per offrirgli un punto di vista opposto e fargli detestare cose amate, come la limpidezza di una giornata di tramontana, ma per ampliare il suo sguardo con osservazioni diverse e complementari, perché con la nebbia non è né meglio né peggio, ma diverso. Osservazioni nate dal mio andare per i monti anche con l'occhio del fotografo.

Oggi è umido
Oggi è umido

Le vette e le nuvole

Nelle vedute romantiche le vette sono spesso in mezzo alle nuvole. In città, invece, non capita mai di starci in mezzo. I monti tra le nuvole appartengono perciò più al cielo che alla terra. Se si arriva in vetta in una giornata tersa, il panorama intorno ci ricorda che siamo ancorati alla crosta terrestre, mentre quando si è su una cima avvolta dalla nebbia, si è legati alla terra solo da uno striminzito lembo di roccia, con tutto il resto dello spazio occupato dal cielo, sopra ma anche sotto. È la dimora degli dei.

La dimora degli dei
La dimora degli dei

Inoltre è profondamente sbagliato dire che non si vedono: le montagne nella nebbia si trasfigurano. Un monte può essere più bello con la nebbia che con il sole. Ricordo in una gita una montagna massiccia, la cui parte superiore era completamente avvolta dalle nuvole. Al loro limitare inferiore, un picco che si staccava dal corpo principale era evidenziato e isolato dalla bruma. Un'immagine degna delle illustrazioni dantesche del Dorè o di una saga nordica. L'anno dopo ripassai nel medesimo posto in una limpida giornata di sole: il monte era irriconoscibile, le pendici sembravano lisce e non riuscii neanche a individuare quel picco che mi aveva affascinato.

Picco nella nebbia
Picco nella nebbia

In certi percorsi un po' monotoni, ad esempio quando si sale su un monte per una via diretta, il panorama è più o meno lo stesso per gran parte dell'escursione. Se invece le nuvole si aprono e si chiudono, in ogni istante la vista cambia e si notano di più dettagli che andrebbero persi nella vista d'insieme. Ho spesso l'impressione che molti credano che basti dare un'occhiata al panorama per vederlo. Si arriva in vetta e si butta l'occhio, ci si gira un attimo durante una salita col muso a terra per vedere in un colpo solo cosa c'è intorno. Invece si potrebbe stare ore ad osservare la stessa scena e vedere mille panorami diversi: ora perché ci concentriamo su qualche dettaglio, ora perché il sole è girato un poco e mette in risalto una zona prima appiattita dalla luce frontale, ora perché un compagno ci fa notare un camoscio mimetizzato che guardavamo ma non vedevamo. Basta non avere l'ansia di arrivare in cima o di andare a fare merenda in piola e poi si può stare fermi ad ammirare infiniti paesaggi dal medesimo posto. La nebbia ci offre un 'aiutino' quando estrania dal contesto particolari che da soli faremmo fatica ad isolare.

I paesaggi intimi

Secondo me, il motivo principale per cui molti non apprezzano la nebbia è però legato all'idea di paesaggio che si ha: si pensa debba essere qualcosa di sconfinato, uno spazio aperto. Catene che si susseguono lontane, valli che si perdono tra mille meandri, una pianura sconfinata, il Monte Rosa visto dall'Appennino. Sono tutte viste emozionanti, tuttavia esistono paesaggi affascinanti anche su scala più piccola, fatti di angoli e di dettagli: la rugiada su un prato, l'eleganza geometrica di una ragnatela, la simmetria frattale della felce, rocce coperte di muschio, i vortici di un ruscello attorno alle pietre, la delicata bicromia di una roccia illuminata dal sole del tramonto, le tracce di una donnola che si perdono nel bosco sono tutte bellezze racchiuse in pochi passi o anche meno. Sono viste modeste e poco appariscenti, elusive. Sono tutti paesaggi che non hanno nomi famosi, che non sono certo mostrati nei depliant turistici o nelle cartoline, né fanno parte dell'immaginario dell'escursionista. Non sono i posti dove tutti si mettono in fila per scattare la foto di rito, le decine di foto tutte uguali che vanno su Google maps.

La stagione morta
La stagione morta

Imparando ad apprezzare queste cose, si può avere un'esperienza più personale della montagna, perché tutti sono colpiti dalla mole geometrica del Cervino, mentre persone diverse apprezzano dettagli assai diversi. Chi ama le striature delle rocce, chi la trama di luce di una faggeta, chi il muschio sui massi tondi dei ruscelli. Ragionando così ogni escursione sembrerà più varia, perché i paesaggi su piccola scala che si incontrano sono quasi infiniti e cambiano ad ogni passo. E la discesa sarà interessante come la salita, anche se avviene lungo lo stesso percorso (pratica in sé deprecabile), perché cambiando la direzione dello sguardo il paesaggio è un altro.
La nebbia allora ci ampia lo sguardo, perché isola queste attrattive dall'ambiente circostante che normalmente attira la nostra attenzione. Ci costringe a concentraci sul piccolo, che spesso trascuriamo, perché siamo attratti da quello grandioso che ci fa sentire minuscoli. La nebbia, in altre parole, isola. Approfondirò questo aspetto nel prossimo paragrafo, ma ora quello che importa osservare è che la nebbia, cancellando ciò che è lontano, evidenzia ciò che è vicino. Toglie, ma aggiunge anche.

Sopra il cielo

Poi, se si sale in mezzo alla nebbia, c'è la possibilità di sbucare al di sopra. Si uniscono i due migliori mondi possibili: c'è la vista e si è isolati dalla pianura. Escursioni qualsiasi diventano indimenticabili. Ricordo ancora la prima volta in cui vidi la Corsica dalla Liguria. Era una giornata di tempo bizzarro, con macaia e vista. Il sole era nascosto da una velatura compatta, il mare era invisibile perché uno strato di nuvole basse, a non più di 200 metri di quota, lo ricopriva interamente. La massa si estendeva fin sopra la costa, dove nascondeva i casermoni rivelando un inaspettato gusto estetico. Tra questi due strati di grigio, lontani, al limite dell'orizzonte, i monti dell'Ile de Beauté ricoperti di neve galleggiavano sulla nebbia o erano appesi alle nuvole, non si capiva bene. L'ho rivista col bel tempo, era sempre emozionante ma più banale, solo un'isola lontana.

Persino il Musinè è bello se la cima sbuca da uno strato di nebbia
Persino il Musinè è bello se la cima sbuca da uno strato di nebbia

Naturalmente l'emozione maggiore non è quando si parte già da sopra, ma quando si buca la nebbia salendo a piedi. A mano a mano che saliamo, la nebbia si fa più sottile, il suo biancore sempre più abbacinante, finché in pochi passi ne veniamo fuori. Si cambia dimensione, dal buio si passa alla luce e si entra allora in un mondo fatto solo di monti, in cui lo strato bianco isola otticamente e acusticamente dal basso, dai suoi rumori e dalle viste feriali. Si è nel cielo anche se si tocca la terra con i piedi. L'inversione termica ci separa pure simbolicamente, perché varcando la soglia ci dobbiamo spogliare dei vestiti da freddo e umidità per indossare quelli del sole. Uno iato completo. In queste condizioni qualunque gita diventa un'esperienza da raccontare. I pigri mortali se ne stanno sotto a lamentarsi del tempo uggioso, noi nel cielo indossiamo in maglietta, cappellino e occhiali scuri anche se è novembre, e ci gustiamo il momento in cui schiatteranno d'invidia a sentire il nostro racconto.
I tramonti sopra ne nubi, poi, sono il massimo. La luce dorata non è alta nel cielo, come siamo abituati a vedere, ma sotto di noi. Se invece la nuvola è in ombra, fa da specchio al cielo riflettendone il blu. È come volare sull'aereo, ma anziché chiusi in una scatola di latta siamo nel posto che più ci piace.
Il limite della nebbia è una zona di luce speciale. Non capita sempre e non sono ancora riuscito a capire da cosa dipenda di preciso, ma quelle volte in cui si vedono i raggi di sole fendere la nebbia sono davvero magiche. Si entra nel mondo delle fate e degli elfi, specie nei boschi.

Bosco delle fate
Bosco delle fate

I boschi

E in effetti sono i boschi il luogo in cui apprezzo maggiormente la nebbia. Non sono belli come dopo una nevicata, ma vengono subito dietro in classifica. Atmosfera e vegetazione creano un ambiente ovattato in cui sembra di essere completamente isolati dal mondo. Spesso la luce è scarsa, ma ha il colore delle foglie: verde in primavera, dorato nelle faggete autunnali. Il bosco sembra non avere confini, i tronchi si fanno sempre più eterei a mano a mano che lo sguardo si spinge in avanti per poi dissolversi nel nulla. Se la foresta è invasa da edera o sottobosco, l'intrico diventa uno spettrale caos primordiale, in cui gli elementi perdono la propria individualità e, diventando tutti ombre, si confondono l'uno con l'altro. Il paesaggio che si vede è ricchissimo, ma è racchiuso in pochi metri e ciò che è lontano sembra non esistere, anche i suoni estranei non arrivano.
Ogni aggregazione ha un modo diverso di stare nella nebbia. Gli abeti bianchi, altissimi e tutti dritti, formano una griglia ordinata e pacata, che ben si sposa con l'atmosfera quieta della nebbia. Per contro i pini silvestri, con i loro rami rossi e contorti si protendono in maniera caotica ribellandosi cromaticamente al grigiore. Le ombrose chiome dei faggi danno il colore alla luce diffusa, verde d'estate, oro in autunno. Le peccete, che sono scure e fresche anche in un'assolata giornata di luglio, diventano buie come in racconto horror. Ricordo un sentiero che si perdeva tra gli aghi caduti degli abeti: con la nebbia fitta era così buio che era impossibile vedere le tacche, ci è toccato percorrere il perimetro del boschetto per capire dove sbucava il tracciato.

Abeti bianchi
Abeti bianchi

Vagare

In effetti nebbia e orientamento non sono fratelli. Se la traccia non è marcata si può essere costretti alla marcia strumentale. L'episodio più divertente mi capitò in un ottobre assai bigio. Al termine di una strada avrebbe dovuto partire il GTA. Di fronte a noi, però, c'era solo un prato spietrato senza punti di riferimento. Per fortuna la grangia vicina era abitata, così provammo a chiedere. Uscì un vecchietto che ci rispose che «a venta andè su da lì», indicando un prato senza tracce nè tacche, che si interrompeva a quindici metri contro un muro grigio di nulla.
«Anch'eui alè nen tant facil», ci spiegò, altrimenti noi non ci saremmo mai arrivati. Poi rientrò serafico. Ci guardammo esterrefatti e concludemmo che non avevamo molte alternative oltre al provare. Salimmo nella direzione del colle cercando di restare compatti senza trovare nulla per un po'. Dopo pochi passi intorno a me non c'erano che quattro ombre nere che marciavano su un fondo liscio e uniforme; un passo più in là, il nulla. Dopo un paio di minuti così, trovammo un sentiero di traverso che sembrava scavato da uomini, diverso dalle solite tracce del bestiame. Lo seguimmo e quasi subito trovammo una tacca biancorossa: il GTA! Fiuuuuuuu.

Neve e nebbia

Sulla neve invece se non altro basta seguire le proprie tracce per ritrovare la strada di casa. In quelle condizioni, il paesaggio si riduce al minimo essenziale: tutto è bianco, sopra sotto a destra a sinistra davanti e dietro; così mi immagino il nulla eterno di Foscolo.

Deserto bianco
Deserto bianco

Pochissimi soggetti emergono dall'uniformità e vengono così evidenziati: li vediamo come se fossero separati dall'ambiente in cui li incontriamo di solito, nudi. Elementi che di solito non noteremmo, perché immersi nel resto del paesaggio, ma che in queste condizioni si svelano in una luce nuova.

Animali

Se c'è nebbia è più facile avvicinare gli animali, perché non ci vedono né ci sentono finché non siamo loro vicino (a meno che si stia cantando o fischiettando per esorcizzarla). Sembrano degli spettri neri, lontani, irraggiungibili. È più evidente che li possiamo ammirare, ma sono di un mondo che non ci appartiene. A me piace molto riconoscerli dalle sagome: sono magnifici quelli con grandi corna. Sogno di fare una foto ad un cervo che bramisce nella nebbia, il muso rivolto verso l'alto, le corna all'indietro e il fiato che esce dalla bocca.

Mucche piemontesi
Mucche piemontesi

Conclusioni

In definitiva, l'idea che in montagna sole significhi bel tempo e nebbia brutto tempo è poco più di uno stereotipo. Ognuno ha le sue preferenze e i suoi gusti, ma entrambe le condizioni meteorologiche tolgono e aggiungono qualcosa all'altra: non ce n'è una positiva e una negativa in senso assoluto, ma solo relativo a ciò che ci aspettiamo. Adottando un punto di vista un po' diverso si scopre che la montagna ha molto da mostrare anche se, apparentemente, lo sguardo si scontra contro un muro di nulla.

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Sergio Chiappino

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