Monte Massone 2161 m

Valle Strona

19 giugno


In un baleno

Siamo infine alla meta della gita, dove ci aspetta la foto di vetta. La prassi vorrebbe che ci sistemassimo tutti intorno alla croce e che qualcuno dal basso ci riprendesse, per creare una di quelle foto che si vedono su decine di siti, così indistinguibili le une dalle altre che potrebbero essere scattate indifferentemente sul Musiné o sul Cervino: in basso tre pietre o un ciuffo d'erba, in mezzo un gruppo di persone, in alto una croce o una madonnina, dietro il cielo blu o la nuvola di Fantozzi, a seconda. La capogita ha però un'idea geniale: dato che la gita è bella per il panorama sui laghi, perché non mettere il fotografo vicino alla croce e il gruppo in basso? Detto fatto

Discesa dalla cresta del Cerano in ricognizione
Discesa dalla cresta del Cerano in ricognizione

Diario di viaggio

Siamo stati davvero fortunati. L'attrattiva maggiore di questo lungo anello è la vista sulla zona dei laghi, Maggiore d'Orta di Mergozzo di Varese di Monate, da guardare tutti d'un fiato, e noi abbiamo azzeccato il giorno giusto, in cui l'aria è limpida, gli specchi d'acqua riflettono il blu intenso del cielo e i lontani 4000 svizzeri sono sgombri da nubi.

Partiamo dall'alpe Quaggione in un numero imprecisato, perché tra iscrizioni e defezioni dell'ultim'ora e due infiltrati abusivi ho perso il conto dei partecipanti. Siamo tra i 25 e i 30. Tra di noi c'è l'Eroina del Giorno, che si cimenta per la prima volta in una gita così lunga e faticosa. Sale pian pianino, al suo passo, ma non si ferma mai,e quando osa farlo la pungolo col forcone. Dopo un breve traverso nella faggeta, ci si innesta sulla cresta erbosa che porta in successione alle cime di Cerano, Poggio Croce, Eyehorn e Massone. La salita è molto erta, costringe a spingersi coi bastoncini e a stare a testa bassa, ma ogni tanto vale la pena di girarla questa testa, perché dietro il panorama è a perdita d'occhio: il lago d'Orta blu cobalto, con il promontorio omonimo e l'isola di San Giulio e poi un'immensa pianura che arriva fino all'Appennino, confuso tra la lieve foschia dell'orizzonte. A destra il Mottarone nasconde il lago Maggiore, a sinistra fa capolino lontano un innevato Monte Rosa. Intorno a noi gli immensi pascoli del Massone. Durante la ricognizione avevamo provato a fare il giro al contrario proprio per poter scendere di qui con lo sguardo rivolto verso il panorama, ma la discesa è molto scivolosa e disagevole, per cui avevamo lasciato perdere. In un tratto in cui la cresta spiana troviamo un gregge di pecore tosate e uno di asini. Questi pendii sono troppo ripidi per le mucche.
Dopo un'interminabile serie di anticime siamo sul Cerano, a metà del dislivello, dove ci concediamo una pausa. Il panorama è magnifico. Quasi in verticale sotto di noi si vede bene il sinuoso percorso del Toce che contorna il Montorfano e sfocia nel lago Maggiore, dove le sue acque verdi sfumano nel blu. Dietro si susseguono le catene montuose della Lombardia. Viene a trovarci un gregge di capre curiose, che evidentemente spera di rimediare qualcosa più succulento della solita erba. Purtroppo per loro siamo di nuovo di partenza e non riescono a ottenere un granché.

Con una dolce salita siamo sul Poggio Croce e di lì giù in picchiata fino alla bocchetta di Bagnone, dove troviamo i primi rododendri fioriti. Ricompattati, riprendiamo a salire. Il sentiero si fa nuovamente molto erto, ma non abbastanza da togliere il fiato all'uomo che ha dato il suo nome a un genere di calembour atroci. Come già sul Birrone quest'inverno, il nome della meta lo ispira a offrire il meglio di sé. Ora come allora, c'è con lui un degno allievo con cui si sfida a una tenzone senza risparmio di colpi. Con sommo gaudio sono abbastanza lontano da loro da non sentirli, e queste notizie mi sono state riferite a cena.
Finalmente arriviamo alla Bocchetta, che si chiama proprio così, senza altro nome, dove arriva il sentiero che sale da Ornavasso. Qui si trova una mulattiera militare della linea Cadorna, che sale con pendenza moderata. Non c'è più bisogno di aggrapparsi ai ciuffi d'erba per tirarsi su. L'Eroina intanto sta dando fondo alle ultime energie e si deve affidare ad un Cavaliere per portare su lo zaino, ma non demorde. Sale con ritmo regolare e, quando abbandoniamo la mulattiera per salire per prati alla vetta dell'Eyehorn, centellina le ultime forze, prende fiato, calibra il passo, mangia una caramella e arriva in cima tra il tripudio generale.
Da qui si vede anche verso nord, la val d'Ossola, i 4000 svizzeri e il coso Cistella, che al CAI non si può chiamare monte perché non supera i 3000. Verso ovest c'è una gobba arrotondata e oltre la vetta del Massone, 30 metri più alta di noi. Firmiamo il libro di vetta e ci concediamo una congrua pausa pranzo (sono le 14 passate). I miei complimenti al gruppo per aver resistito fino a quest'ora senza lamentarsi e senza mettersi a parlare di manicaretti, come capita in certe gite a partire dalle 11 del mattino. Dopo pranzo per una traccia ci dirigiamo verso la gobba. Sul suo versante nord percorriamo una trincea della linea Cadorna, un insieme di fortificazioni costruite prevalentemente durante la Grande Guerra per arrestare un'eventuale invasione via Svizzera. Un gregge di capre ci fa da scorta.

Siamo infine alla meta della gita, dove ci aspetta la foto di vetta. La prassi vorrebbe che ci sistemassimo tutti intorno alla croce e che qualcuno dal basso ci riprendesse, per creare una di quelle foto che si vedono su decine di siti, così indistinguibili le une dalle altre che potrebbero essere scattate indifferentemente sul Musiné o sul Cervino: in basso tre pietre o un ciuffo d'erba, in mezzo un gruppo di persone, in alto una croce o una madonnina, dietro il cielo blu o la nuvola di Fantozzi, a seconda. La capogita ha però un'idea geniale: dato che la gita è bella per il panorama sui laghi, perché non mettere il fotografo vicino alla croce e il gruppo in basso? Detto fatto. (A questo punto confesso che stavo per scrivere “sulla croce”, perché è quello che farei ai fotografi che ti obbligano ad accalcarti in posizioni scomode, quando ti piacerebbe startene tranquillo ad ammirare un panorama che puoi gustare per soli dieci minuti nella vita).

Scendiamo per un'altra cresta, nel cuore degli immensi pascoli del Massone, in direzione del Poggio Frera. Finalmente si può camminare guardando il panorama, che è dominato dal Cusio e dalla bassa valle Strona. I versanti sono entrambi ripidi, ma molto diversi. Di fronte a noi sono quasi interamente boscosi, con pascoli striminziti e ripidissimi. Sul nostro versante, non meno ripido, i boschi si arrestano già a bassa quota per lasciare spazio a prati sterminati. Nonostante questo sia il versante esposto a sud, l'albero che incontriamo più spesso è il faggio, segno che qui il clima è fresco e piovoso. In fondo alla cresta che percorriamo c'è l'alpe Loccia, che si apprezzerà meglio sul sentiero verso l'alpe Morello. Di lì la si vede abbarbicata su una dorsale ondulata limitata da scarpate boscose.
Dove la cresta erbosa spiana ci concediamo una pausa. Alcuni sembrerebbero intenzionati a passare la notte qui, perché la stanchezza comincia a farsi sentire. Tentiamo di rianimare una gitante con il potassio, ma forse servirebbe almeno una Red Bull. Tocca ripartire perché il gruppo preme, ormai è chiaro che non saremo giù tanto presto. La discesa resta sempre abbastanza ripida, così ci allunghiamo parecchio. Ci ricompattiamo prima del bosco, dove c'è un bivio non segnalato per l'alpe Loccia, e poi ancora a un guado difficoltoso. Subito dopo c'è l'alpe Bagnone. Durante la ricognizione abbiamo constatato che il pastore è piuttosto misantropo ed irascibile, pertanto la capogita tira dritto, ma gli assetati ignari si fermano lo stesso a fare rifornimento. Quando ripartono, senza guida smarriscono il sentiero, che qui non è tanto evidente, e si dirigono bradi verso la scarpata, come i lemming del film Disney, nonostante i disperati segnali della capogita che li aspetta sotto. Salta fuori allora il pastore, che urlando come uno sciamannato isterico cerca di indicare la strada giusta che alla fine riescono a trovare.

Dall'alpe Bagnone si attraversa un bosco per un sentiero in saliscendi. Si supera una lunga serie di impluvi, dove oggi scorre abbondante acqua grazie alle copiose piogge dei giorni scorsi. I primi, assetati, spingono la capogita ad un ritmo incalzante per arrivare il più presto possibile alla fonte dell'alpe Morello. Gli ultimi, invece, arrancano stanchi spingendosi con i bastoncini sulle risalite contro cui imprecano invano e procedendo cauti sui guadi.
È ormai tardo pomeriggio e la luce è la migliore, calda, bassa e laterale. Approfitto del fatto che sono ultimo, dietro ai più lenti, per fermarmi nei posti più promettenti a scattare ritratti ai faggi monumentali o al bosco nel suo complesso. Le chiome tracciano una delicata trama di luce e ombra sul terreno spoglio e sulle cortecce dei faggi, che chiare e lisce si lasciano disegnare come la tavolozza di un pittore.
Arriviamo finalmente all'alpe Morello, dove ci fermiamo a riposarci e a bere. Riprendiamo quindi la marcia per la strada che la raggiunge. Il popolo esulta, «Siamo arrivati!», «È finita!» e già progetta di lasciarsi rotolare sull'asfalto per dare requia alle gambe spossate. Ma la strada porta all'alpe Quaggione per un giro bello lungo, per cui tra la disperazione generale tocca lasciarla per un sentiero che a mezza costa va a lambire lo Zuccaro. (Il maestro e l'allievo ne approfittano per un'ultima raffica di spietate lepidezze). Inoltre non è meglio poter lanciare un ultimo sguardo al lago e allla via di salita, illuminata dalla luce del tramonto? In fondo ci siamo alzati solo alle 4,30 e non sono passate che 11 ore dalla partenza, che saranno state sì e no 9,30 ore di marcia per i più lenti. Si può tirare ancora un po' per le lunghe. I primi non sembrano essere del tutto d'accordo, perché, mentre sono intento a godermi questi ultimi momenti, li sento annunciare per radio che stanno già partendo per Torino.
Un terzo del gruppo si concede invece una sosta rinfrancante al ristorante, dove ci portano vassoi interi di pasta e varie bottiglie di barbera prima ancora che abbiamo fatto in tempo a sederci tutti. L'elenco di tutte le pietanze che finiscono in tavola è troppo lungo per l'hard disk di questo server. «Ci toccherà fare un secondo giro notturno per smaltirle» pensiamo. Meditando sul fatto che devo stare vigile per guidare fino a casa, mi trattengo, ma altri si abbandonano a libagioni degne di un banchetto dei patrizi romani. Durante il quieto viaggio di ritorno i miei compagni di viaggio crolleranno ad uno ad uno, in ordine di abbuffata.

Galleria fotografica

Verso il Cerano
Verso il Cerano
In cresta
In cresta
La cresta durante la ricognizione
La cresta durante la ricognizione
Discesa dalla cresta del Cerano in ricognizione
Discesa dalla cresta del Cerano in ricognizione
Panorama dal Cerano: Toce, Montorfano, lago di Mergozzo e lago Maggiore
Panorama dal Cerano: Toce, Montorfano, lago di Mergozzo e lago Maggiore
Le capre del Cerano
Le capre del Cerano
Rododendro fiorito sopra la Bocchetta di Bagnone
Rododendro fiorito sopra la Bocchetta di Bagnone
Vista dalla mulattiera Cadorna
Vista dalla mulattiera Cadorna
La trincea Cadorna del Massone con Monte Rosa
La trincea Cadorna del Massone con Monte Rosa
Monte Massone: foto di vetta
Monte Massone: foto di vetta
Balcone sul Cusio
Balcone sul Cusio
In discesa
In discesa
Pomeriggio in faggeta
Pomeriggio in faggeta
Pomeriggio in faggeta
Pomeriggio in faggeta
Alpe Loccia
Alpe Loccia
Tramonto sul Cerano
Tramonto sul Cerano

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Sergio Chiappino

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