Mosteiro de san Xioan de Caaveiro
Fragas do Eume
12 luglio
In un baleno
Si è conservata l'atmosfera romantica di pietre squadrate che si elevano dal rigoglio della foresta, su una rocca isolata al centro della profonda valle

Diario di viaggio
Lasciamo l'auto all'area attrezzata con panche e fonte, dove non stupisce l'assenza di aseos, poiché dopo i pasti le vesciche sono vuote come lo spazio interstellare, per la quantità di sale che in Spagna aggiungono ai cibi. La strada era partita dalla cittadina arrampicata a un pendio affacciato sul lago salmastro, che il Rio Eume forma all'estuario, e ne aveva seguito il corso fino dove le colline si stringono formando un canón.
Qui una sbarra impedisce la prosecuzione ai turisti, ma un servizio navetta li porta fino al termine dell'asfalto, dove una pista lastricata sale in qualche centinaio di metri alla rocca su cui sorgono i resti del monasteiro de san Xiao de Caaveiro (in galiziano) o monasterio de san Juan de Caaveiro (in castigliano). Anche se il dialetto locale è quasi indistinguibile dallo spagnolo, qui ne sono molto orgogliosi e sui cartelli e nei depliant turistici, ma pure sui pannelli elettronici delle autostrade, compaiono abitualmente ambo le traduzioni di tutti i testi. I nomi dei paesi sono riportati solo in galiziano.
È anche possibile il noleggio di bici elettriche.
L’accesso
Noi invece andiamo a piedi, per un paio di chilometri sulla strada, quindi lungo il sentiero che corre sulla sponda destra del fiume. Il sentiero non è segnalato (qui al di fuori dei vari Camiños di lunga percorrenza raramente lo sono), ma è chiaramente tracciato e ad alcuni bivi attorno al monastero sono presenti cartelli. Appena possiamo, scendiamo al fiume, un serpente verde smeraldo dalla pelle raramente raggrinzita, disteso tra ripide sponde boscose, con salici sulla riva e querce coperte di muschio più lontano. Questa gola tra le colline è promossa per la foresta atlantica molto preservata e in effetti qui sono assenti le estese piantagioni di eucalipti, tutti grandi uguali e disposti geometricamente, o le pinete uniformi, comuni sulle colline galiziane, ma ci sono al massimo esemplari singoli di dimensioni imponenti. Inoltre molti tronchi sono diffusamente ricoperti di muschio e licheni, grazie alle precipitazioni frequenti lungo tutto il corso dell’anno. Tra tanto verde spicca la fioritura rossa del fuoco del diavolo, un’erba originaria dell'Africa meridionale, un cui ibrido sviluppato per i giardini si è naturalizzato in vaste aree costiere dell'Europa atlantica. Uno dei cartelli informativi cita le lontre tra la fauna locale, innescando la vana aspettativa di vederne una: questa via di accesso è molto frequentata e quegli schivi mammiferi acquatici difficilmente la popolano. Bisognerebbe forse provare lo storico sentiero che scende all'abbazia dall'accesso oggi secondario di As Neves, una via senz'altro meno battuta, ma indicata dal paese, seppur molto breve e più infossata di questa.
La strada è appunto moderatamente trafficata e affollata di pedoni, mentre sul sentiero, che imbocchiamo grazie a una passerella sospesa e traballante, le presenze sono più scarse. Le pendenze sono a lungo trascurabili, ma ci sono dei passaggi su roccia che richiedono un minimo di destrezza pedestre. Mi sorprendo perciò quando in verso opposto arriva una famiglia con due bambini in età pre scolare, che mostrano un certo disagio pure su passaggi appena sconnessi. Scatto molte foto agli scorci del fiume forse un pochino tutti uguali, ma che mi affascinano per la diversità rispetto ai paesaggi alpini a cui sono abituato, dove mancano fiumi placidi in ambienti naturali. Peraltro a ogni accesso cartelli ricordano che l'Eume è soggetto a piene imprevedibili, perché a monte delle gole vi è una diga a fini idroelettrici, che genera un grande lago serpeggiante, circondato da dossi boscosi e prativi. La centrale è posta immediatamente a valle, per cui rilascia immediatamente il flusso naturale di acqua. Tutti i dintorni sono stati devoluti alla produzione di elettricità: a qualche chilometro tra gli anni 40 e 2000 fu attiva una miniera a cielo aperto di carbone, ora trasformata in lago, sebbene l’annessa centrale termica funzioni ancora alimentata da carbone importato. Sui crinali meglio esposti ai venti atlantici sono poi numerosi i generatori eolici.
Dopo una seconda passerella chiusa al transito, il sentiero si fa più accidentato, con impennate e calate così erte da rendere proficuo l'uso delle mani. Lungo queste arrampicate raggiungiamo due giovani russi e una famiglia ispanica che in piano ci avevano superato di slancio. Non oso immaginare quanto abbiano penato quei due bambinelli incontrati prima, su questi gradoni più alti di loro, o i loro genitori per issarli. Raggiungiamo un immissario dell'Eume, il piccolo rio Seisin nel fitto bosco, che risaliamo con percorso semi circolare, fino a raggiungere i pochi resti di un mulino. Si vedono giusto i fori nel pavimento dove passavano gli alberi motore. In più hanno disposto sul pavimento delle macine fresche di cava a beneficio dei turisti. Nel sottostante torrente, che lo muoveva, delle famiglie si apprestano a bagnarsi.
Il monastero
Una rampa lastricata ci conduce allo spiazzo tra il centro visitatori e il bar da un lato e i resti del monastero dall'altro. Ci accomodiamo su una panca di pietra all'ombra, perché la temperatura è mite ma il sole picchia, sebbene le nuvole lo occulteranno a breve. Dopo le pesche che ci fanno da pranzo, mi metto in cerca di un caffè: al bar mi mescono un bicchierone del caffè solubile dolce da un thermos, passandolo come tipico galiziano. Vendono i bocadillos a 15 €, mentre questa bevandaviene poco più di uno. Ho notato che per ottenere prodotti genuinamente locali bisogna andare nei posti dove non ci sono turisti stranieri e il personale parla inglese come un ragazzino di prima media o proprio solo spagnolo, altrimenti è come il lago di Como a beneficio degli americani.
Il nome del luogo è un riferimento alla roccia granitica della zona: i documenti più antichi chiamano Calavario questa zona, da calav, un termine di latino medievale per pietra, su cui sorge e di cui è costituito il monastero.
Le prime donazioni attendibili risalgono al tardo secolo XI e gli scavi archeologici hanno datato al secolo successivo i resti più antichi pervenuti a noi, ma il codice diplomatico conserva un documento con datazione anteriore, presumibilmente un falso architettato dai monaci per conferire origini incontestabili al proprio patrimonio, come si faceva pure dalle nostre parti. Fa infatti riferimento alla donazione di un monaco altomedievale molto popolare, san Rosendo (907-977), ma sbaglia la data ponendola nel 742. L’autore della monografia è più devoto di me e ipotizza che i monaci abbiano raccolto in esso notizie passate da porzioni di manoscritti sopravvissuti a un incendio. Sta di fatto che la tradizione lo considerò sempre come il fondatore di Caaveiro, e delle sue reliquie erano conservate e venerate, insieme a un calice di fattura medievale attribuito a lui, ora conservato nel tesoro della cattedrale di Santiago. L’ordine religioso era quello degli agostiniani, quello dell’attuale papa Leone XIV.
Le donazioni di terre coltivabili del circondario furono numerose fino alla fine del secolo XIII. Parallelamente, in seguito alla partecipazione di un monaco alle sue campagne militari contro i Mori, Alfonso VII concesse al monastero il privilegio regio della giurisdizione sulle terre che lo circondavano, sulla destra dell’Eume, in quanto sulla sinistra la sua espansione era bloccata dalla presenza del monastero di Monfero e verso la costa agli interessi della nobiltà. Vari suoi successori confermarono o ampliarono tale giurisdizione con successivi atti fino a tutto il secolo XV.
Le sorti mutarono al principio del XIII secolo, quando la famiglia più potente di Pontedeume, gli Andrade, volse le spalle all’istituzione, per eleggere il contiguo Monfero a monastero di famiglia. Arrivarono al punto di saccheggiare l’edificio, dove erano sepolti i loro avi, e costringere alla fuga il priore, arrogandosi i suoi privilegi giurisdizionali.
Contemporaneamente, l’ascesa dei nuovi ordini mendicanti urbani portò un po’ ovunque alla decadenza dei monasteri rurali agostiniani. In età moderna il monastero fu per i monaci un’occupazione a tempo parziale, nel senso che spesso avevano uffici e prebende secolari e dedicavano pertanto solo parte del loro tempo agli impegni ecclesiastici, nonostante i tentativi dell’arcivescovo di Santiago di richiamarli ai loro doveri.
Al termine del processo, l’8 febbraio 1800 il monastero fu soppresso e i monaci superstiti furono trasferiti a Ferrol, una città sulla costa. La struttura economica rimase in piedi affidata a laici, fino alla soppressione degli ordini religiosi del 1835, in seguito alla quale il patrimonio fu smembrato e la struttura abbandonata.
Nel 1890 don Pio Garcia Espinosa, un residente di Pontedeume sposato a una ricca ereditiera, acquistò i muri, che nel frattempo erano passati al vescovo di Santiago, con lo scopo di far rivivere il monastero. Fece fare imponenti lavori di ristrutturazione, lo dotò di comfort moderni e ricavando un’abitazione per sé e famiglia, che un testimone descrive come riccamente arredata con collezioni di armi e stoviglie, fino alla sua morte avvenuta nel 1906. Dopo essere passato di mano tra i vari eredi, nel 1971 fu dichiarato monumento di interesse storico artistico e paesaggistico. Giunto in mano pubblica in seguito a un processo di esproprio degli eredi, fu oggetto di scavi archeologici e restauri, mentre l’area circostante divenne parco naturale. Nel contempo fu costruita la strada di accesso. Questo sabato di luglio è una meta molto frequentata, sebbene i turisti non siano di impedimento a goderselo in tranquillità. Oltre al bar e al centro visitatori, sono offerte delle visite guidate.
Degli edifici originali è rimasto poco, quasi solo un’abside romanica, in quanto la maggior parte di quello che posso vedere è frutto della combinazione tra decadenza secolare e i rifacimenti ottocenteschi portati avanti da don Pio.
Innanzitutto l’edificio è piccolo, in quanto il numero dei monaci forse non ha mai superato la decina (le sparse notizie che abbiamo ne riportano al più nove), anche se poi bisogna aggiungere il personale laico addetto ai lavori di cura. D’altronde lo spazio a disposizione, sul monticello tra i due rii, è stato già sfruttato al massimo costruendo a più livelli connessi da scale. Inoltre il luogo lontano da ogni centro produttivo era più un rifugio per eremiti che un centro produttivo, come certi della Ribeira Sacra. Aveva in compenso ben due chiese, secondo documenti seicenteschi: la maggiore è andata perduta, mentre è stata ricostruita quella più antica attorno alla citata abside antica, dedicata a santa Isabella. In generale la ricostruzione fu fatta riutilizzando i resti disponibili in loco e reinventando un’architettura romanica.
Si è conservata l'atmosfera romantica di pietre squadrate che si elevano dal rigoglio della foresta, su una rocca isolata tra due incavi fluviali al centro della profonda valle: la stessa che rende celeberrime le rovine sperdute nelle foreste tropicali, per rendere l'idea. Percepisco un senso di isolamento dalla pur vicina città, schiacciato dalla valle, non molto profonda né lunga ma angusta, che non offre allo sguardo che alberi e una piccola porzione di cielo.
Una volta doveva essere più apprezzabile ancora, anche fisicamente, perché Ambrosio de Morales, una ricercatore di libri e reliquie per l’Escorial durante il regno di Felipe II (1556-1580), definisce quasi impossibile l’accesso a cavallo: senz’altro esseci giunto per un sentiero a tratti impegnativo incrementa l’effetto rispetto a un accesso con bici elettrica o navetta, ma senza questi ultimi visitatori non potrebbero funzionare le attività economiche annesse. Allora esisteva solo l’accesso da As Neves, che avevo pure considerato guardando OSM e che mi avrebbe consentito di ammirare una chiesa costruita accanto a un masso, Virgen de la Pena Grande appunto, anche se poi mi sono attenuto alla via principale descritta nella Lonely Planet: essendo più lunga, mi ha consentito un’immersione più estesa nel bosco, anche se magari meno intensa. Di là magari una lontra avrebbe potuto scapparci.
Senza dubbio alcuno la commistione tra architettura e paesaggio supera il valore architettonico puro: da questo ultimo punto di vista, la vicina (in linea d’aria) abbazia cistercense di Monfero, sebbene di essa sia visitabile unicamente la chiesa, offre molto di più, grazie alla sontuosa facciata barocca e all’interno rinascimentale.
Il rientro
Per una ripida rampa lastricata, risalita senza sforzo dai ciclisti elettrici, torniamo all'Eume, che varchiamo su un ponte. All'altro capo la navetta da 9 posti attende l'ora della partenza. Al ritorno percorriamo la strada, decisamente più veloce, ma con molti meno scorci sul fiume, anche se qualche traccia ogni tanto porta ad accessi, talvolta occupati però da bagnanti anche in topless, rendendo troppo imbarazzante un’eventuale puntata fotografica. Peraltro la luce ora diffusa avrebbe consentito fotografie diverse sulla stessa via dell'andata, ma i tempi necessari sarebbero stati incompatibili con le incombenze serali: è sabato e dobbiamo necessariamente fare un po’ di spesa, perché qui i supermercati rispettano il riposo festivo.
Molto sparpagliate ci sono delle casette, talvolta ricoveri per i pescatori talvolta private, in una delle quali ancora giungono olezzi di carne alla brasa, all'orario che nel Nord Italia sarebbe quasi di cena. Allo stesso modo vediamo non poca gente salire ancora verso il monastero, a piedi o su bici elettriche, sebbene gli interni siano aperti solo fino alle 18. Alle 19.30 il parcheggio al divieto è ancora in gran parte occupato, così come quello del locale qualche centinaio di metri a valle.
Per approfondire
- AAVV, El monasterio de San Juan de Caaveiro, A Coruña 1999
- Gregor Clark [et al.], Spagna settentrionale, Torino 2019
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