Monte Acuto 747 m

Val Varatella/Valle Ibà

22 aprile/21 dicembre


In un baleno

Ci sono molti percorsi per salire sul Monte Acuto: la cresta da Ceriale, per il Pizzo Ceresa e il Poggio Grande da Peagna, per il Terre Alte da Balestrino. Qui sono descritti due anelli. Il primo parte da Toirano o Barescione per risalire per le antiche mulattiere dei carbonai, ora dimenticate e trasformate in piste di cinghiali, ma tranquillamente percorribili anche dai bipedi, mettendo in conto un po' di fondo sconnesso, arato dai grugni. Il secondo invece da Peagna risale la valle Ibà fino al Pizzo Ceresa e poi segue la cresta dal santuario di Monte Croce

La casella di Monte Acuto
La casella di Monte Acuto

Diario di viaggio

Ci sono molti percorsi per salire sul Monte Acuto: la cresta da Ceriale, per il Pizzo Ceresa e il Poggio Grande da Peagna, per il Terre Alte da Balestrino. Qui sono descritti due anelli. Il primo parte da Toirano o Barescione per risalire per le antiche mulattiere dei carbonai, ora dimenticate e trasformate in piste di cinghiali, ma tranquillamente percorribili anche dai bipedi, mettendo in conto un po' di fondo sconnesso, arato dai grugni. Il secondo invece da Peagna risale la valle Ibà fino al Pizzo Ceresa e poi segue la cresta dal santuario di Monte Croce.

Da Toirano si imbocca il sentiero Terre Alte con direzione Balestrino. Attraversato il caratteristico borgo di Barescione, si prosegue su uno stradello che si mantiene poco sotto la strada asfaltata, tra case e campi coltivati. Si guada quindi il torrente (qualche pietra offre una mano nell'evitare di mettere i piedi a mollo) e si giunge ad una casa dove finisce la strada e comincia il sentiero, che guadagna gradualmente quota. Alterna tratti nel fitto del bosco mediterraneo ad aperture, da cui si scorge il castello e il borgo medievale di Balestrino. Quest'ultimo fu abbandonato negli anni Sessanta in seguito ad un movimento del terreno che danneggiò gli edifici. Ora non ne restano che i gusci vuoti, mentre le pareti interne sono crollate, uno spettacolo che da vicino è molto desolante e triste, ma da qui non si percepisce.
Subito dopo una precaria palina in legno, con indicazioni per Balestrino e Monte Croce, si perviene al ponte dell'Utra, massiccia costruzione sul torrente. In realtà passandoci sopra quasi non lo si nota, tanto è invaso dalla vegetazione. Per apprezzarlo bisogna scendere sulla traccia che alla sua sinistra cala al torrente. Il luogo è assai ameno.

Si torna quindi alla palina e si imbocca la mulattiera, non segnalata, che sale sulla destra (per chi arriva dal ponte). Da qui al santuario di Monte Croce si seguirà questa mulattiera abbandonata. A volte il fondo è rovinato, ma il percorso è sempre individuabile, non c'è il rischio di smarrirsi nel bosco.
Ad un successivo bivio si prende a sinistra. Poco oltre la mulattiera confluisce in uno stretto stradello che sale da destra (cosa che mi fa pensare che si possa giungere quindi anche prendendo la destra la bivio). Lo si segue per un breve tratto, quindi, dove si infrasca, si riprende a salire sulla destra. La mulattiera sale erta in un bosco fitto, ombroso, di alberi avvolti dall'edera, che trasuda vapore dalle foglie degli alberi e sudore dalla pelle degli escursionisti. Rigoglioso pungitopo mi fa quasi pentire di aver scelto i pantaloni corti per sfuggire ai primi tepori primaverili.
Piazzole dei carbonai, che si succedono di qui fin quasi a Monte Croce, spiegano il perché di questo sentiero che non passa né da case né da pascoli. In questi posti la legna veniva accumulata in cataste compatte, senza lasciare aria in mezzo, per poi essere ricoperta di terra. Solo uno stretto foro in alto, da dove si faceva entrare il fuoco con una torcia. Così la legna si accendeva, ma, essendo privata dell'ossigeno dell'aria, non si inceneriva, ma si decomponeva in acqua, aldeidi e altre sostanze volatili, che lasciavano la maggior parte del carbonio allo stato solido sotto forma di carbone. In questo modo si poteva produrre carbone in una terra altrimenti priva di questa risorsa. Il legno deputato a questa produzione era soprattutto il faggio, ma in questa zona ci si arrangiava con vegetazione mediterranea.
Si arriva nei pressi di una spalla rocciosa, dove alberi e arbusti si contendono il poco terreno tra le rocce. Qui si trovano un sentiero che scende, chissà dove, una traccia sulla destra che porta a vedere un po' di panorama raschiando per bene la pelle sulle eriche e un sentiero che sale puntando verso uno spuntone di calcare. È quest'ultimo che va seguito.

Altra salita eta, altre piazzole. Una curiosa lapide fissata su un piedistallo di pietra scolpita, appoggiato in mezzo al sentiero, forse abbandonata qui, forse scivolata da non si capisce dove. Purtroppo il tempo ha raschiato quasi del tutto l'iscrizione e non si capisce più che cosa o chi mai volesse commemorare. Quindi della spazzatura vintage, tra cui una bottiglia di vetro della Coca-Cola uscita di produzione nel 1991, annuncia che siamo nei pressi della civiltà, che si manifesta con un diroccato punto d'appostamento dei cacciatori, nei pressi di un poggio panoramico.
Si continua a mantenere la stessa direzione, trascurando una traccia che sale a sinistra. Da qui la salita si fa più dolce e in breve si confluisce su un sentiero più grande, in corrispondenza dell'ultima stazione di una Via Crucis che ha l'aria di essere recente. Si sale ancora meno di cinque minuti per giungere al Santuario di Monte Croce, dove confluiscono vari altri sentieri.

Dal piazzale si segue quindi il sentiero marcato da un quadrato rosso vuoto, che segue la dorsale che conduce al Monte Acuto. Dopo un breve tratto nel bosco, l'ambiente cambia completamente. Mentre finora il mare è comparso solo a sprazzi, da qui invade tutto lo spazio visivo, blu, blu, blu. In un solo colpo d'occhio si va da punta Crena alla Gallinara. Se si è particolarmente fortunati e si indovina una giornata limpidissima, si vedrà anche la Corsica. Non è il nostro caso, ma non c'è ragione di lamentarsi. Radi alberi crescono su questa dorsale, tra affioramenti calcarei, tra cui una specie di menhir di Obelix, e molti prati già rasati da mucche e cavalli (cosa resterà loro quest'estate?). Il cielo è primaverile e quasi atlantico, con nuvoloni scuri alternati a sprazzi di blu intenso.
Si incontrano alcune caselle molto ben conservate. Dopo vari saliscendi si tocca la vetta del monte Acuto, marcata da una Croce. Si continua a seguire la dorsale che scende al mare fino a poco prima del metanodotto, la si lascia per una seconda dorsale, percorsa dal sentiero Terre Alte. Si avanza tra erica e cisto fino ad un tornante a sinistra, dove ci si immette nuovamente nel bosco.

Il sentiero ben tracciato e pulito, scende un pendio ripido ma dolcemente, rilassante, con qualche scorcio di mare qua e là. Diventa poi più ripido. Volendo lo si può seguire fino a Toirano, sbocca solo un poco più a valle di quello proposto qui. Qui viene infatti proposto un percorso alternativo che consente di passare un un bell'oliveto e, se si ha voglia di allungare un po', anche dalla chiesa della Madonna della Guardia. Ad un tornante verso destra, dove c'è anche una palina TA, bisogna prendere la mulattiera che prosegue dritta. Numerose cartucce per terra indicano che dev'essere un posto prediletto dai cacciatori. Si prosegue quasi in piano fino ad un colletto, nei cui pressi si stacca sulla sinistra un sentiero che conduce alla Madonna della Guardia. Se si va lì, poi si può scendere direttamente a Barescione per una stradina. In caso contrario, si procede dritti. Poco più avanti, in un punto sgombro da vegetazione, si può scorgere sulla sinistra la chiesa con il suo cipresso. Questo tratto di sentiero è dominato dalla mole del Monte San Pietro, sulla cui cima sorge l'abbazia che dalla sua posizione domina la val Varatella. Si perviene quindi ad un oliveto, da cui si segue la sterrata che scende a Toirano, poco a valle del punto di partenza.

Un'alternativa è risalire l'incassata valle Ibà, dove si segue il percorso di un ruscello dalle acque limpide, che scorre tra le rocce calcaree. Conviene evitare le stagioni più secche, quando lo si può trovare completamente secco, ma anche i periodi di piogge abbondanti, perché il ruscello va guadato diverse volte.
Dal parcheggio di Peagna si risale fino a monte della colonia, e presa la strada asfaltata verso sinistra, si va a trovare l'imbocco del sentiero, dove c'è l'indicazione per il Pizzo Ceresa. Il sentiero è ben segnato fino in cima. Nonostante sia fine dicembre, questo autunno molto caldo ha permesso alle querce di conservare molte foglie verdi. Si lascia la solatia conca di Peagna e ci si incunea nella stretta valle, dove il sole del solstizio invernale non è arrivato alle 11 (e probabilmente oggi non ci arriverà proprio). La temperatura cala bruscamente. Il primo tratto è una stradina, che ingombranti fuoristrada di cacciatori percorrono in su e in giù. In un punto qualcuno ha costruito dei modellini di una casella e di una carbonaia. La strada termina in un'area attrezzata, nei pressi di roviane di edifici rurali, dove incrociamo un coppia di mezza età che scende.
Il tratto più bello è quello dei guadi, dove il ruscello alterna rapide e cascatelle a placide pozze verdi. Si trova una deviazione che sale diretta a Monte Croce. Una fila di sgargianti giubbetti arancioni se ne sta ferma e allineata su questo sentiero, poco più a monte. Solo i cani, che abbaiano eccitati, corrono forsennatamente lungo gli erti fianchi della valle. Scopriremo che tutto questo spiegamento di forze è alla ricerca di un unico cinghiale, che questa mattina ha raspato in basso lungo il sentiero.
Dopo un lungo tratto in pendenza moderata, il fondovalle s'impenna e con esso il sentiero, che può finalmente raggiungere la luce del sole. Qui incontriamo altri cacciatori, che tengono stretti al guinzaglio i loro cani. Al confine tra luce e ombra, raggiungiamo il prato tra Poggio Grande e Pizzo Ceresa e da lì tocchiamo la pianeggiante vetta del secondo. Qui ci sono una cappella e un traliccio con antenne, che un competente ingegnere civile riconosce essere della RAI. Vista grandiosa dalla piana di Albenga con la Gallinara, ai vicini monte Alpe e Castell'Ermo, fino al lontano Saccarello con la cima imbiancata. Segue una lunga pausa pranzo al mite sole di questa giornata sfolgorante.
Seguiamo poi la stradina, senza fare la deviazione per il forte di Poggio Grande, perché la giornata più breve dell'anno non ha abbastanza ore di luce. I numerosi cacciatori che si affollano qui stanno ormai sbaraccando con le pive nel sacco. Dal santuario imbocchiamo il sentiero di cresta, dove alcune mucche pascolano misera erba. Incrociamo l'ultimo cacciatore in ritirata. Procediamo sulla panoramica cresta fino alla bella casella sull'ultima sella prima di Monte Acuto.
Poco sotto, accanto alla casella più in basso, passa il sentiero che porta a Peagna. È rovinato dal passaggio delle moto. Mentre un'ultima lama di luce illumina la piana di Albenga, planiamo nell'ombra sovrastata da nubi arancio e poi rosse, discutendo dell'etimologia di XXX. Una passeggiata crepuscolare alla fonte e le fusa di una gattina nera con una chiazza bianca concludono la gita.

Galleria fotografica

Balestrino
Balestrino
Balestrino a pastello
Balestrino a pastello
Ponte dell
Ponte dell'Utra
Bosco storto
Bosco storto
La costa verso punta Crena
La costa verso punta Crena
Albenga
Albenga
La casella di Monte Acuto
La casella di Monte Acuto
Gallinara: una tartaruga
Gallinara: una tartaruga
Calcare
Calcare
Verso punta Crena
Verso punta Crena
Monte San Pietro
Monte San Pietro
Torrente Ibà
Torrente Ibà
Torrente Ibà
Torrente Ibà
Verso Pizzo Ceresa
Verso Pizzo Ceresa
La piana di Albenga e la Gallinara da Pizzo Ceresa
La piana di Albenga e la Gallinara da Pizzo Ceresa
L
L'incavo della valle Ibà
Monte Saccarello
Monte Saccarello
La piana di Albenga e la Gallinara
La piana di Albenga e la Gallinara
Peagna
Peagna

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Sergio Chiappino

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