Dismorfismo cronoclimatico


I like misty water
I like fog and haze
Anne Maria and her daughters
take a sip of misty water

Mi piace l'acqua brumosa
mi piacciono nebbia e foschia
Anna Maria e le sue figlie
bevono un sorso di acqua brumosa


Ray Davies

Oh no, speriamo che adesso la signora non chiami l’112, o la spedizione notturna evapora all’istante, come tra poco faranno queste gocce di pioggia fuori stagione: la sua silhouette da fattucchiera mi spia da una finestra sopra la panetteria, mentre attraverso la piazza, per inabissarmi nel buio della stradina per Serre. Non ho proprio voglia di spiegare alla gente scema e senza poesia perché, per un giro fotografico tra frazioni isolate, ho scelto i primi tocchi della domenica e una pioggerella sottile, che si disperde a mezz'aria in goccioline di bruma, anziché un pomeriggio di sole. E se dopo aver ascoltato le mie deliranti argomentazioni, secondo cui quando non c’è luce a illuminare e alcunché da vedere è il momento di uscire a fotografare, mi portassero invece al reparto psichiatrico, con quale diagnosi mi ricovererebbero? Scialo dello spettro del Brocken autistico o dismorfismo cronoclimatico?
Questi sono i primi pensieri nelle due ore di licenza dagli appaganti ma tentacolari doveri di tenente di manina. Ore in cui i barbet si rintanano rientrando in auto da letture teatrali o già lo sono dietro le imposte a sudare tra le lenzuola, ore in cui i ghiri dormono ormai da 4 mesi all'asciutto nei sottotetti, ore in cui nemmeno una volpe o un tasso osano aggirarsi in cerca di crocchette gattare.

Le gocce librate mi costringono a puntare la frontale dalle anche, a mo' di fendinebbia automobilistico, quelle che colano dai rami zuppi a tenere il cappello e a confidare che lo spray portentoso abbia restituito alla giacca l'impermeabilità perduta. Per la verità in certi momenti mi accorgo che potrei avanzare a tentoni senza pila, beneficiando della luce soffusa dei lampioni lontani, dispersa dalle nuvole e filtrata dal bosco. L’unica in una notte senza stelle e senza luna, flebile come la Terra vista da Voyager.
Le architetture semirustiche del capoluogo non mi ispirano, Odin arroccata mi respinge con fantasie di draghi da guardia, finché finalmente nell’evanescente tempio di Serre trovo la consonanza perfetta con la luce commisurata all’atmosfera rarefatta della notte: non so se è solo la scarsezza di risorse, ma mi pare che qui abbiano trovato la virtù aristotelica tra luce e buio. Con rimpianto non ho ricordi di suoni, ma non per il silenzio ovattato della nebbia, piuttosto invece per il clamore assordante di pensieri tumultuosi.
Ho pochi minuti di tempo, la maggior parte sprecati, prima che la nebbia si dissolva svelando i fianchi dei monti e la pioggia cessi: si prepara la preannunciata domenica serena per chi va a pranzare alla Vaccera e a passeggiare sulla neve vergine. È ora di svanire dalle strade e rifugiarmi sotto il piumone.









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Sergio Chiappino

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