Melle-Frassino

Madonna della Betulla

16 giugno


Madonna della Betulla
Madonna della Betulla

Diario di viaggio

Breve tappa di accesso al trek, che abbiamo nostro malgrado parzialmente condiviso con il turismo motorizzato domenicale, che si insinua in ogni anfratto non serrato da lucchetti a doppia mandata. La tappa si svolge tra i boschi e attraversa alcune borgate di un certo interesse architettonico, oltre a costeggiare diversi edifici sacri, anche antichi; lungo il percorso si incontrano inoltre numerosi piloni votivi affrescati con immagini della Madonna e dei santi. Mentre le chiese furono opera collettiva del clero e delle comunità, questi ultimi furono edificati per iniziativa delle singole famiglie, che commissionavano direttamente le opere ai pittori di montagna. Di solito non hanno perciò lasciato documenti scritti negli archivi ecclesiastici e non è quindi possibile risalire alle ragioni che ispirarono ciascuno di essi. Spesso queste erano un ringraziamento per un lieto evento o una richiesta di aiuto alle divinità in periodi difficili. Tra le ragioni, non si può poi tralasciare il prestigio sociale legato al superfluo e agli staus-symbol, ben documentato in tutte le società con un minimo di stratificazione sociale. I piloni nascono come forma cristianizzata di precedenti culti animisti. I celto-liguri, che colonizzarono queste montagne prima della dominazione romana, avevano l'usanza di erigere pile di pietre (poi chiamate mons Iovis dai latini) alle divinità, spesso in luoghi significativi, come punti panoramici, bivi o passaggi impegnativi, come forma di invocazione della loro protezione dalle forze della natura, in un legittimo e sempre attuale desiderio di controllo sull'imponderabile, in un ambiente ostile e imprevedibile. Le popolazioni contadine, infatti, temevano la natura selvaggia e le davano una connotazione complessivamente negativa: basti pensare al ruolo degli dèi romani della natura selvaggia, come il dio silvano Pan, simbolo degli istinti incontrollabili. I cristiani ereditarono queste concezioni e le adattarono alle nuove credenze, passando ad attribuire queste forze all'influsso diabolico.

Lasciamo l'automobile ai margini di Melle e attraversiamo l'abitato, dove spiccano una grande casa con loggiato e una gelateria nella piazza, dove tra una settimana termineremo gloriosamente il nostro viaggio, sperimentando il fiordilatte aromatizzato alle erbe di montagna. Dalla piazza scendiamo verso la provinciale, percorsa da un intenso traffico di auto e moto rombanti. La attraversiamo al semaforo, dove c'è il primo pilone votivo della giornata, che per noi merita il significato contemporaneo di ex-voto di scampati all'investimento. Seguendo le paline (la cartina è imprecisa), prendiamo verso valle lungo una sterrata, da cui si distacca un sentiero lastricato, delimitato a monte da un muro a secco a sostengo del pendio. Prende a salire nel fitto bosco misto collinare e ci porta in una zona aperta, con vista sul verdeggiante monte Birrone, frequentata meta dell'escursionismo invernale. Qui è stato edificato un pilone ancora in tempi recenti, negli anni Cinquanta del Novecento, quando ormai i montanari stavano già fuggendo in massa verso le neonate industrie della vicina pianura. Attraversiamo il piccolo gruppo di case di Cianal, dove in un cortile spicca un grande ciliegio. Dopo le intense piogge del mese precedente, che hanno rattoppato un inverno secco e mite, i roseti sono al massimo dello splendore e l'erba lungo i sentieri è alta e fitta, oltre che fiorita. Ci immergiamo nuovamente nel bosco, costeggiamo una casa con roseto in una radura e a un bivio imbocchiamo la via più lunga per Sant'Eusebio. Seguono anche dei tratti in piano, fino a quando ci troviamo subito a valle della radura in cui sorge la frazione dominata dal campanile, a cui risaliamo.
Ci fermiamo a bere al lavatoio, provocando un fuggi fuggi di lucertole, mentre poco lontano tre vecchie stanno conversando a proposito degli intingoli, che si apprestano a cucinare per il pranzo della domenica. La frazione ha molte case vissute, ma sembrano quasi tutte sprangate e non vediamo nessun altro in giro, nonostante la festività estiva. Torniamo a sentire il rombo delle moto sulla provinciale, da cui le ovattanti foglie del bosco ci avevano isolato in precedenza. Passiamo accanto alla medievale chiesa che dà il nome alla frazione, costruita lungo la via di transito dell'epoca. Allora si evitavano i fondovalle oggi adatti ai mezzi motorizzati e si preferivano invece le zone sulle dorsali e a mezza costa, anche per edificare gli insediamenti. Infatti qui il clima è meno umido e le alluvioni meno probabili. A ricordo di ciò, sulla facciata meridionale è dipinto un san Cristoforo, protettore dei viandanti.
Ci immettiamo sul percorso del trek, proveniente da Brossasco, che prosegue lungo la strada asfaltata diretta alla Madonna della Betulla, attraversando delle zone prative aperte, con vista sull'alta valle di Bellino, dove mi sembra di riconoscere il Pelvo d'Elva e il Mongioia. Attraversiamo altre frazioni con belle case e rose fiorite, superati da un certo traffico di auto dirette al santuario. Vediamo poi dal basso la bianca chiesetta di san Michele, in cima a un cocuzzolo boscoso. È intanto terminato l'asfalto e il fondo diventa sterrato. Troviamo il vecchio sentiero, che taglia un tornante, passando in una vegetazione termofila di querce e ginepri (abbiamo sperato invano nell'ombra e nel fresco del bosco). Al rientro sulla sterrata, incontriamo un ragazzo che sta appendendo ai rami le banderuole di plastica, che fungono da segnavia per il trail di domenica prossima. Passiamo da Meire Pantoisa, molto ben ristrutturata, dove apprezziamo l'acqua fresca di una fontana, una stalla con volta a botte e l'architettura in pietra quasi da fortilizio cinto da mura.
La strada pianeggia e un pilone votivo annuncia il santuario, costruito a ricordo di un'apparizione con un messaggio più inutile e desolante di quelli dei contattisti odierni, e rifatto tra Otto e Novecento. Incontriamo le auto che ci hanno superato, oltre a diverse altre, parcheggiate sui piccoli fazzoletti erbosi intorno alla chiesa. Parte degli occupanti sta prendendo il sole, mentre altri stanno pranzando a dei tavolini pieghevoli, montati all'ombra del portico che copre il sagrato. Un signore sta mangiando un panino seduto dentro il bagagliaio della sua Multipla. Non ci curiamo di loro, ma fotografiamo e passiamo, sulla stradina ora più stretta. Individuiamo quindi il sentiero, che vi resta un poco più sotto, e corre in piano bordeggiando una casetta diroccata invasa dalle ortiche, prima di giungere al pilone votivo datato 1861 delle Meire di Nivo, presso cui ci fermiamo a pranzare, anche per via della sorgente con vasca, che doveva servire ad abbeverare il bestiame.

Durante la sosta, andiamo a visitare i ruderi delle residenze stagionali (meire deriva dal latino migrare), dove i montanari trascorrevano l'estate coltivando e pascolando il bestiame. Il breve sentiero che le unisce alla fonte era delimitato da lose disposte di taglio nel terreno, dette teluire. Purtroppo per loro la montagna finiva poco sopra, per cui non avevano a disposizione gli ampi pascoli estivi del piano alpino ed erano perciò più poveri dei colleghi dell'alta valle. L'agricoltura montana di sussistenza era più stentata della pastorizia, e infatti andò in crisi ben prima, scomparendo dopo l'ultimo dopoguerra, mentre l'allevamento transumante a fini commerciali perdura tutt'oggi, seppure su scala più ridotta di un tempo e principalmente devoluto alle bestie da carne. Tra le case ce n'è una ristrutturata in pietre e cemento e abbandonata non da molti anni, in cui i villeggianti si erano anche costruiti una cantinetta arredata con legno dipinto di rosso e si erano addirittura piastrellati il bagno e la cucina, come suggeriscono alcune piastrelle ancora integre abbandonate sull'uscio (nessuno di noi si fa venire in mente un giro esplorativo all'interno, nonostante la porta spalancata). Più in basso c'è un'altra casetta ristrutturata e dimenticata, con una recinzione in metallo.
Durante la nostra permanenza alla fonte, arrivano dalla Madonna della Betulla tre vecchie, di cui una cammina aiutandosi con due bastoni. Sono salite dal vallone di Gilba, hanno lasciato gli uomini a San Bernardo delle Sottole, poco più avanti lungo il nostro cammino, per una puntata al santuario, da cui ora stanno tornando. Proseguendo lungo il sentiero, che confluisce nella strada, ben presto le raggiungiamo, nel piazzale accanto alla piccola cappella con un porticato in scala a mo' di riparo, chiuso da due colonne tonde. Dal vallone di Gilba arriva il rombo delle moto.
Imbocchiamo la strada sterrata in discesa diretta verso Frassino, al cui margine una coppia si è sdraiata accanto al tubo di scappamento della propria automobile. Varie altre automobili salgono in verso opposto, tutte con un singolo passeggero a bordo. Giunti all'asfalto, continuiamo a scendere e al tornante arriviamo alla chiesa di San Claudio, in perfetto stato di conservazione, con un porticato chiuso da una cancellata, per tenere all'esterno il bestiame. Al suo lato si diparte una mulattiera bordata anch'essa di teluire, che secondo la cartina si dovrebbe smarrire ben presto, ma è marcata dalle banderuole del trail e ha l'erba rasata, segno che è invece stata recuperata di recente, dopo che sono stati segnalati i sentieri, ed è percorribile. Facciamo una pausa pennichella (a Meire Nivo non c'era il posto per sdraiarsi). Una poiana che volteggia giustifica sin dal primo giorno il binocolo che ho scelto di portare nello zaino. Scendiamo su mulattiera a Campo Soprano, dove vediamo un gigantesco fienile. Un aspetto dell'architettura delle Alpi Occidentali che colpisce molto è senz'altro la grandezza di certe abitazioni. È un retaggio del diritto napoleonico, che prevedeva la suddivisione in parti uguali dell'eredità. Dato che i montanari generavano molti figli per avere aiuto nei campi (i lavori agricoli erano tutti a conduzione familiare), le case dovevano prevedere stanze per ciascuno degli eredi. Dato che spesso molti dovevano emigrare in via definitiva in Francia, in quanto il territorio non era in grado di sostentare tutte queste bocche, spesso gli eredi diventavano irreperibili e non c'era modo di gestire questi beni.
A Campo Soprano lasciamo il percorso del trail, che prosegue in piano lungo una mulattiera non riportata sulla carta, mentre noi scendiamo a valle del paese, dove troviamo l'imbocco del sentiero che scende nel bosco; vi vediamo degli escrementi di equini e poi degli asini in carne ed ossa. Finiamo nuovamente sulla strada nei pressi di un pilone e manchiamo un secondo imbocco, proseguendo invece sull'asfalto, costeggiando diversi chalet quasi tutti abbandonati. Lasciamo la strada principale, prendendo la diramazione per Meira Paseri, dove contiamo di ritrovare la mulattiera. Un sosia dell'ex presidente Giovanni Leone, intento a rasare il prato di casa a torso nudo, ci conferma che la traccia individuata è la strada giusta, che tiene ammirevolmente pulita, per quanto le piogge di questa primavera gli consentono. Seguendola, rasentiamo il muro che delimita il pianoro su cui sorgono queste meire, fino a raggiungere dopo degli infrascamenti la mulattiera principale in corrispondenza di un pilone con raffigurato san Chiaffredo. Proseguiamo la discesa in una zona dove arriva nuovamente il rumore delle moto, ora in fase di rientro a valle. Raggiungiamo un recinto con due capre socievoli, la strada e infine Frassino.
Dato che è presto, facciamo una merenda alla locanda dove alloggeremo, prima di andare a svolgere le incombenze vagabonde della doccia pomeridiana e del bucato. Provo un succo di lamponi che producono loro, naturalmente zuccheroso, ma molto apprezzabile se accompagnato dal ghiaccio. La nostra stanza è su due piani, uniti da una ripida scaletta in legno con i gradini così accavallati da avere una scansione predeterminata per i piedi destro e sinistro, tramite slarghi indispensabili. Abbiamo anche un balcone dove stendere. La cena sarà una delle migliori del viaggio. Dopo le incombenze gironzoliamo per la parte vecchia di Frassino, ridotta all'osso, sostanzialmente una sola breve via parallela all'attuale carrozzabile, dove c'è qualche casa con minime vestigia medievali, come un portone megalitico e una bifora murata, con una delle caratteristiche teste mozze di derivazione celtica su un pilastro. Dall'altro lato della provinciale c'è poi una grande chiesa più moderna con facciata neogotica, purtroppo chiusa. Il suo campanile suona tutte le ore due volte, anche di notte, oltre al tocco della mezz'ora, una sgradita tortura per chi ha difficoltà a prendere sonno. Quest'usanza ci accompagnerà per buona parte dei pernottamenti. Fino quasi all'ora di cena il serpentone del rientro domenicale è ininterrotto.

Galleria fotografica

Melle
Melle
Pilone di Cianal
Pilone di Cianal
Madonna della Betulla
Madonna della Betulla
Madonna della Betulla
Madonna della Betulla
San Bernardo delle Sottole
San Bernardo delle Sottole
Frassino
Frassino

Frassino
Frassino

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Sergio Chiappino

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